lunedì 29 settembre 2008

La logica della querela, Emiliano Morrone continua una lettere di Roberto Saviano


















La querela è il rimedio oncogeno contro giornalisti e scrittori. Non in sé, ma per l’uso incontrollato e arbitrario che oggi se ne fa. Trasformata dal tempo e dal costume, è l’arma prediletta dal potere. Intanto perché tacita i Battista: i pochi che gridano nel deserto dell’abbandono; in guerra contro l’ignoranza cieca, la meschinità opulenta, il familismo, l’indifferenza.

La querela ti obbliga a difenderti, a fermarti, a lottare per te stesso, se sei soltanto un giovane ricco di buone speranze. Consapevole che dalla condanna avrai un’onta, una macchia, una traccia che gli avversari richiameranno a vita per levarti statura e carica morale. Loro, malavitosi e politici di presidio, a volte un solo corpo, hanno il placet del sistema: sono immuni e dritti al proprio posto; possono delinquere e benedire, predare e sentenziare, disintegrare strumenti, organi e presìdi democratici. Generano la convinzione che il saccheggio e la violenza sovrastano la legge; portano sfiducia collettiva, rassegnazione, sconforto, disumanità.

Così, in questo clima di paura e opportunismo, di reticenza e omologazione, parlare e agire diventa un reato, ancora prima del giudizio ordinario. Domina, a livello collettivo, una «solidarietà meccanica» verso gli ordinatori, i forti, i responsabili dello sfacelo. Questa si concretizza in forme di autocensura e limitazione personale, e soprattutto in aggressioni e propaganda falsa, utili a isolare resistenti e opposizioni.

Roberto Saviano ha spesso ricordato il valore dell’impegno; lui che non ha smesso un attimo di denunciare l’orrore imposto dai Casalesi e la loro ferina cattiveria. Non puoi star zitto e svaccato, guardando la morte e il sangue veri come un film in 16:9. Non puoi scuotere la maglia, convinto di non appartenenere all’inferno meridionale di piombo e dolore, rifiuti e sterminio, macerie e disperazione compressa. Come se fossi escluso dalla carneficina, salvo nel tuo mondo di quotidianità lineare e adesione allo scontato, preservato dal marchio della colpevolezza e dagli untori. Se chiudi la bocca, non puoi pensare, manco per un secondo, che sei diverso, che sei altro: che hai dei valori, un onore ufficiale, un ruolo sociale distinto e legittimo, un’utilità manifesta, una funzione per lo sviluppo.

La querela t’allontana dalla ricerca della verità, dall’indagine, dal racconto del male. Di un male che un libro non può contenere né rappresentare a sufficienza; neppure l’universale Gomorra. La querela serve a smorzarti la tensione etica, a trasformarla in un sentimento destabilizzante, a spostare l’attenzione sul tuo privato. La querela t’angoscia come la minaccia, ti abbatte: ti perseguita il pensiero di finirla, di cessarti; sai che non c’è ritorno, ormai hai osato, sfidato.

Un giorno Roberto Saviano m’ha scritto: «Se io non avessi avuto successo e un grande editore ora ero in un ospedale pscihiatrico, credimi». Ma non il successo dei soldi, come ripetono gli stolti, pedine di abili scacchisti. Roberto è stato protetto dalla straordinaria penetrazione del suo racconto, che ha restituito alle coscienze l’urlo represso d’una tragedia non solo campana, sconfinata come il mercato.

Roberto è riuscito a destare, a riunire un popolo, a schiacciare menefreghismo, falsa innocenza, abitudine.

Francesco Saverio Alessio e io, che abbiamo scritto "La società sparente" (Neftasia, Pesaro, 2007), siamo stati additati, messi ai margini: ci hanno insultati, nella nostra Calabria; ci hanno chiamati «pazzi», «visionari», «psicotici», solidarizzando cogli impuniti.

Confesso che per un periodo lo abbiamo creduto davvero: abbiamo pensato di non esistere, o, meglio, di esistere in un mondo ricostruito dalla nostra mente in fuga; ormai perduta nell’utopia della giustizia, della convivenza civile, dell’affrancamento della Calabria. Un sogno perfino capace di condurci al suicidio, all’esecuzione rasserenante, quella che non ha colpevoli materiali.

Abbiamo illuminato zone oscure in "La società sparente", riesumato storie di giovani ammazzati con crudeltà indescrivibile, peggio degli animali da macello. Come Antonio Silletta, di San Giovanni in Fiore (Cs), sequestrato, sparato e bruciato; irriconoscibile, carbonizzato come un albero dopo un incendio. La madre, di fatto assassinata, morta di crepacuore, lasciata in solitudine da una società che aveva ritenuto naturale e cosa sua la sparizione del ragazzo, visti i precedenti per spaccio.

Che cosa c’è, e chi, dietro quel barbaro, doppio omicidio? Che cosa dicono le indagini?

Abbiamo maledetto la squallida accettazione dei paradossi, delle contraddizioni d’una Calabria dove si continua a votare il migliore offerente, spesso colluso, sostenuto dalla ’ndrangheta in cambio di premi, agevolazioni e libertà di movimento.

"La società sparente" è ancora, purtroppo, quella calabrese, che non crede nella forza della parola e della risposta civile; che non ha più fede né ideali; che affonda nella logica della convenienza, nella salvaguardia di perversi meccanismi di potere. Un potere onnipresente, onnipotente, che ha invaso le istituzioni e consolidato la Spa della morte, una ’ndrina sola, una Santissima: dai depuratori impuri ai materiali tossici nel crotonese, dalla gestione della monnezza allo sfruttamento delle coste, dalla sanità in metastasi alle truffe sui fondi europei, ai disastri ambientali, alla distruzione dei tessuti produttivi.

"La società sparente" è anche quella che emigra e giura di non rincasare mai più. Quella dei giovani che hanno capito come girano le cose in Calabria; che hanno inteso i collegamenti fra politica e ’ndrangheta; che sanno che giù non si lavora e vive dignitosamente, se non piegandosi all’una, all’altra, a entrambe.

Piegarsi vuol dire farsi gli affari propri, nel vero senso della parola. Significa raccogliere voti per qualcuno che la ’ndrangheta ha scelto per i suoi progetti. Significa raccontare dappertutto la favola della regione povera e bisognosa; significa perpetuare, con l’immobilità individuale, un assistenzialismo straripante che mantiene a palazzo i soliti noti. Significa lasciare campo aperto alle ecomafie e agli edili dell’autostrada, delle opere pubbliche, agli specialisti delle costruzioni di creta e veleni. Significa lasciare alle generazioni che verranno un’eredità di squallore, scempi, pericoli, disservizi, insicurezza, debiti, miseria, incultura, desolazione, criminalità, sgomento e disgregazione. Significa, poi, firmare la scomparsa d’una regione, che non sarà più salvabile perché non sarà rimasto più nessuno, nel futuro alle porte, fra gli ultimi liquami per la terra secca.

Con questa coscienza e urgenza, certi che la letteratura arriva dove non riesce l’informazione per immagini, Francesco Saverio Alessio e io abbiamo umilmente fornito un testo da cui partire per una responsabilizzazione politica dei calabresi, in nome di un obiettivo, l’uscita dalla minorità, e non di un partito.

Ma quando metti nomi e cognomi in un libro - e quando sto libro te l’ha pubblicato un piccolo editore che t’ha fatto firmare la sua estraneità nelle cause civili e penali - tutti si coalizzano e ti danno addosso. Perché sei solo, e sei pure un idealista imbecille, a cui mancano i mezzi di difesa.

Dopo le querele ricevute e per la vicinanza di "La società sparente" al movimento pro De Magistris, il pm che coi fatti ha dato una speranza viva alla Calabria bella, la politica calabrese ha denigrato il testo, la sua progressiva denuncia e gli autori. Con calcolo scientifico di tempi, mezzi e linguaggio, ha tentato in tutti i modi di negare la realtà del racconto, limitandolo il più possibile a un ambito locale. Perché non si sapesse, perché nulla uscisse fuori delle mura domestiche, perché ci fosse una lettura contraria della maggioranza e perché a maggioranza si sancisse la totale incompatibilità degli autori, in delirio, con l’ambiente calabrese.

Sull’esistenza di querele contro Alessio e me, la politica, non tutta, ha fondato la sua richiesta di consenso, pretendendolo, stavolta, in merito alla nostra (supposta) inattendibilità, piuttosto che per l’Europaradiso a Crotone o la risurrezione di Sviluppo Calabria.

La querela t’arriva subito, oggi, perché scrivi; se scrivi. Corri dal legale, se ce l’hai, o chiedi in giro d’uno bravo che ti levi dalle sabbie mobili. Sì, non c’è altro da fare. Non puoi cavartela diversamente, magari spiegando, illustrando, ragionando su periodi scritti con metodo, scrupolo e rigore.

Devi provare l’ebrezza del tribunale, entrarci; subire attonito il caos dei suoi lunghi corridoi. Ti passano a un palmo, quasi fossi invisibile, avvocati e loro praticanti. I primi procedono in testa, scarpe lucide, aria distratta e raccolta. Gli apprendisti, al seguito, li riconosci dal nodo della cravatta, classica o pop art, sempre grosso e impreciso.

Ti sei assunto la responsabilità penale e civile di ciò che hai scritto. Te lo ripeti dentro come il Daimoku dei buddisti. Chi ti trascina in giudizio di solito ha sostanze in banca. Le spalle ben coperte, può tenerti in bilico come una foglia d’ottobre avanzato. Nel mentre, ti chiedi perché sei finito tra quelle mura, dove incontri anziani contadini cui, come messaggio da non interpretare, qualcuno ha danneggiato il raccolto; dove noti disabili multati per aver sostato oltre il loro posteggio, occupato abusivamente da un villano.

Poi pensi che l’Italia è questa, e non la cambiano le tue piccole fatiche.

La querela tutela chi può essere stato offeso nell’onore.

I procedimenti penali contro Alessio e me sono stati tutti archiviati. Nessuno, in Calabria, vuole parlarne. Come nessun politico, meno che l’onorevole Angela Napoli, già membro della Commissione parlamentare antimafia, ha condannato le minacce e le intimidazioni che abbiamo ricevuto. La società sparente.

Emiliano Morrone

Alcuni riferimenti:

- http://19luglio1992.com/index.php?option=com_content&view=article&id=100:intervista-a-salvatore-borsellino&catid=2:editoriali&Itemid=4

- http://www.revestito.it/?id1=19&id2=1&Tipo=7&id3=14230

- http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=1340

- http://www.ndrangheta.it/?p=17

- http://news.ladysilvia.it/ladysilvia/13350/attualita/0/

- http://www.19luglio1992.com/index.php?option=com_content&view=article&id=687:archiviato-procedimento-penale-contro-gli-scrittori-alessio-e-morrone&catid=2:editoriali&Itemid=4

- http://www.adnkronos.com/IGN/Cronaca/?id=1.0.2509557769

- http://www.robertosaviano.it/articoli/9025/116/0

- http://www.normanno.com/articolo.php?id=DM2008-01-10-0614

- http://ilsatirosaggio.com/?p=433#more-433

- http://www.perlacalabria.it/2007/11/19/chi-ha-paura-delle-parole-ha-paura-della-verita/

- http://www.movimentodelsole.it/index.php?option=com_content&task=view&id=281&Itemid=2

- http://www.ebeteinfiore.it/leggi.asp?id_art=2347&id_area=4&mac=3

- http://masaghepensu.splinder.com/post/14914789/Da:+%22La+voce+di+fiore%22

- http://www.ilcittadinodimessina.it/news.asp?idz=8&idn=5186

- http://www.perlacalabria.it/2007/10/26/vile-biglietto-di-minacce-ad-un-giovane-scrittore-calabrese/

- http://guide.dada.net/giornalismo/interventi/2007/11/312270.shtml

- http://cultura-mediterranea.blogspot.com/2008/04/intervista-di-giuseppe-scano-allo.html

- http://www.padovanews.it/content/view/22366/101/

- http://www.imgpress.it/notizia.asp?idnotizia=28044&idSezione=1

- http://www.lameziaweb.biz/new.asp?id=6802

- http://www.europaoggi.it/content/view/1221/0/

- http://www.francescozingone.it/2008/04/01/presentato-a-pesaro-il-libro-sull%E2%80%99inchiesta-del-pm-de-magistris/

- http://www.movimentodelsole.it/index.php?option=com_content&task=view&id=226&Itemid=2

- http://www.forumdelreventino.org/forum/index.php?topic=30.0

- http://www.luigiboschi.it/?q=node/6307

- http://lasestina.com/index.php?Itemid=10697&id=2391&option=com_content&task=view

venerdì 26 settembre 2008

Ndrangheta, ancora pressioni per gli autori del libro "La società sparente"


Continuano le traversie legali per gli scrittori calabresi Emiliano Morrone e Francesco Saverio Alessio, a proposito del loro libro su ’ndrangheta e politica "La società sparente" (Neftasia, Pesaro, 2007).

Archiviato dal Gip di Urbino l’ultimo procedimento penale contro gli autori per diffamazione aggravata, Francesco Caputo, legale del querelante, l’imprenditore calabrese Domenico Parrotta, in una nota pubblicata il 26 settembre su "Il quotidiano della Calabria" ha scritto:

"A giorni sarà presentato ricorso al Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Perugia per la riapertura delle indagini atteso il palese e superficiale errore in cui è incorso il Gip di Urbino".

Morrone e Alessio, che presto riprenderanno iniziative antimafia in Veneto, Lombardia, Sicilia, Campania e Calabria, commentano: "Siamo, come sempre, assolutamente sereni e fiduciosi nella magistratura. Era stato perfino richiesto il sequestro del nostro libro, non concesso dal Tribunale civile di Cosenza".

Morrone, che col giornalista Biagio Simonetta sta ultimando "Black Mountains", romanzo sulla scriminalità calabrese, sottolinea: "Scrivere della Calabria comporta rischi e persecuzioni. Tutto quanto è avvenuto dalla pubblicazione di ’La società sparente’, minacce, intimidazioni, pressioni politiche e azioni legali, è stato seguito con molta attenzione da un’ampia rete dell’antimafia e dalla stampa nazionale. Consapevoli di non essere da soli, continueremo a raccontare ciò che avviene nella nostra Calabria; perché, come sostiene Roberto Saviano, la parola scritta è sempre più forte del silenzio e dell’indifferenza".

mercoledì 24 settembre 2008

Archiviato ennesimo procedimento penale contro gli scrittori Francesco Saverio Alessio ed Emiliano Morrone


















(In foto, Emiliano Morrone, Ferruccio Pinotti e Francesco Saverio Alessio) La querela, per diffamazione, era stata sporta dall’imprenditore calabrese Domenico Parrotta, che aveva anche chiesto il sequestro del loro libro su ’ndrangheta e politica, "La società sparente"


Su richiesta della Procura della Repubblica, il Gip di Urbino, divergendo da precedenti conclusioni del Tribunale di Cosenza, ha archiviato il procedimento penale relativo alla querela per diffamazione a mezzo stampa sporta dall’imprenditore calabrese Domenico Parrotta contro gli scrittori Emiliano Morrone e Francesco Saverio Alessio, difesi dall’avvocato Francesco Siciliano, per due pagine del loro libro su ’ndrangheta e politica “La società sparente” (edito da Neftasia di Pesaro nel 2007). Nella querela non era stato coinvolto, invece, l’editore del volume.

La vicenda era arrivata alla stampa nazionale per la parallela e urgente richiesta di sequestro del testo, presentata dal Parrotta al Tribunale civile di Cosenza. In prima istanza, ritenendo la sussistenza del reato di diffamazione, il Tribunale civile di Cosenza aveva obbligato gli autori ad acquistare le copie del libro rimanenti nelle edicole e nelle librerie di San Giovanni in Fiore (Cs), loro città di origine. In appello ne aveva rigettato il ricorso per una decorrenza dei termini derivante da nuova interpretazione di norme. La seconda edizione del libro era uscita con le due pagine incriminate completamente vuote, come forma simbolica di autocensura. Per Morrone e Alessio, non c’era stata alcuna diffamazione verso Parrotta, ma il mero racconto di vicende già note, rispetto alle quali avevano espressamente escluso qualsiasi colpevolezza o imputabilità dell’imprenditore, incensurato.

Il Gip di Urbino aveva già archiviato analoga querela contro i due autori, presentata dall’orafo calabrese Giovambattista Spadafora. La querela di Parrotta, in un primo tempo arrivata alla Procura della Repubblica di Cosenza, era stata poi trasmessa a Urbino per motivi di competenza, essendo stato stampato il libro La società sparente nella città marchigiana.

A sostegno di Morrone e Alessio, anche per il clima generale di intimidazioni e minacce subite in Calabria dall’uscita del volume, erano intervenuti il filosofo Gianni Vattimo, il giornalista Franco Abruzzo, consigliere dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia, il fratello del giudice Paolo Borsellino, Salvatore, il deputato Angela Napoli, già membro della Commissione parlamentare antimafia, Rete per la Calabria, coordinamento di associazioni e movimenti a favore della legalità, il testimone di giustizia Pino Masciari, i giornalisti di inchiesta Marco Travaglio e Ferruccio Pinotti e gruppi organizzati di giovani sensibili al valore della giustizia, attivi in ogni parte di Italia. Nello stesso tempo, diversi politici di San Giovanni in Fiore - tra cui il sindaco Antonio Nicoletti, destinatario d’una causa di risarcimento da parte degli autori - avevano pubblicamente rifiutato di discutere il testo, limitandone il contenuto al comune calabrese e sostenendo la gratuità delle vicende ivi narrate, anche considerandole frutto di pettegolezzo e fantasia.


In un articolo pubblicato sul settimanale L’Espresso, lo scrittore Roberto Saviano aveva invece pienamente confermato la validità e attendibilità del saggio-inchiesta di Morrone e Alessio, centrato sulla deriva etica e politica della Calabria, corroborata da inquietanti inchieste della magistratura su sanità, fondi e appalti pubblici. Intervenuti sui rapporti fra politica, ’ndrangheta e massoneria a Casal di Principe (Ce), in università, scuole, piazze, tv e radio italiane, i due scrittori avevano continuato a denunciare, con nomi e dettagli, la pericolosa espansione internazionale della malavita calabrese, causa dello spopolamento in Calabria e strettamente legata al mondo politico e affaristico. Avevano anche lanciato un allarme di vigilanza con un reportage da Duisburg, a un anno dalla strage.


Giunta la notizia dell’archiviazione del procedimento riguardante la querela di Parrotta, Francesco Siciliano, legale di Morrone e Alessio, ha dichiarato alla stampa: «È una vittoria della libertà di stampa e informazione. Chi scrive deve poter informare, raccontando i fatti senza timore di ingerenze, strumentalizzazioni politiche e particolarità ambientali».

Alessio ha detto: «Abbiamo sempre avuto fiducia nella magistratura. Le nostre ragioni sono state ora certificate dallo Stato». Morrone ha invece sottolineato: «Indipendentemente dalla vicenda di Parrotta, verso cui, per la mia formazione cristiana, non ho affatto risentimento, la decisione del Gip di Urbino è un segnale forte alla politica e ai poteri forti. Nessuno può essere al di sopra della legge».