lunedì 17 marzo 2008

Salvatore Borsellino su "La società sparente", la giustizia, De Magistris e i poteri forti




Intervista a Salvatore Borsellino

Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, ucciso il 19 luglio del 1992 in quella che viene ricordata come la strage di Via Amelio, dove vennero fatti esplodere 100 chili di tritolo per sbriciolare un ostacolo per la mafia, un cocciuto magistrato che si ostinava a voler condannare i suoi membri.

Vi persero la vita anche uomini della sua scorta. Quella tragedia ha provocato una dura reazione dell’opinione pubblica che ha costretto il legislatore ad intervenire, lo Stato a reagire segnando un percorso di vittorie che hanno significativamente indebolito la mafia siciliana, ed ha segnato la sua vita.

Da ingegnere ed imprenditore ha sentito dentro di sé il dovere morale di continuare la lotta per la legalità in nome della quale si era immolato Paolo. Cerca di essere presente in tutte le occasioni che siano utili per questa causa.

È venuto a Cosenza per presenziare ad una udienza della causa di diffamazione intentata contro gli autori del libro "La società sparente", convinto che solo liberando le coscienze, denunciando senza reticenze gli intrecci tra il malaffare la politica, i poteri dello Stato e l’imprenditoria sia possibile iniziare un percorso virtuoso di rinascita della società meridionale.

Oggi è proprio la Calabria la nuova trincea, il campo di battaglia dove è schierato l’esercito criminale più potente e pericoloso.

La ’ndrangheta è diventata l’organizzazione più forte che riesce ad essere presente con i suoi tentacoli in tutto il territorio nazionale ed anche oltre.

È qui che si combatte la battaglia campale, dove si fronteggiano due eserciti: l’uno ben organizzato, una temibile falange, dall’altro lato lo Stato, che spesso appare come una armata Brancaleone che vuole combattere la sua crociata con gli spadoni di cartone.

Salvatore Borsellino è venuto qui per un atto di testimonianza non avendo alcun ruolo nella vicenda, solo per sostenere la causa di due kamikaze che gridano la loro verità, che non si rassegnano a dover subire il silenzio. Le sue parole sono un duro atto d’accusa, ma rappresentano anche un barlume di speranza per chi voglia mantenere accesa la fiaccola della legalità in questa regione.

Come mai si trova in Calabria? Qual buon vento la mena?

Sono venuto in Calabria per la prima volta per seguire da vicino la vicenda De Magistris, perché ritenevo che qui si stesse combattendo una battaglia, la battaglia di Fort Alamo, l’ultima battaglia in difesa della Magistratura. Io ritengo che in Italia sia in atto un attacco frontale e coordinato all’indipendenza della Magistratura e che proprio qui si stesse svolgendo l’atto cruciale di questa battaglia. L’attacco a De Magistris avviene nel momento in cui nelle sue indagini si era avvicinato ai poteri forti. Poteri politici nella fattispecie, poiché i poteri forti costituiscono un riferimento molto più ampio. De Magistris è stato attaccato duramente, ma non credo che fosse un attacco a De Magistris, ma un tentativo fin troppo scoperto di imbavagliamento della Magistratura, come dimostra il contemporaneo attacco alla Forleo.

Però questa battaglia la sta combattendo anche una parte importante della Magistratura, che ha fornito agli assedianti un significativo contributo. Non c’è stato bisogno di alcun cavallo di Troia ...

L’attacco frontale viene sicuramente dal potere politico e purtroppo c’è una buona parte della Magistratura che è entrata in questo sistema di potere ed è connivente con l’attacco dei politici. La strategia seguita da Mastella di chiamare al Ministero magistrati proveniente da diverse correnti in maniera di tacitare tutte le possibili opposizioni all’interno della stessa Magistratura ha dato i suoi frutti. Sicuramente una parte rilevante della Magistratura si è lasciata cooptare in questo sistema di potere diventandone complice.

In una recente intervista sulla stampa De Magistris lamenta che hanno colpito lui, mentre non si è mai punito un magistrato corrotto.

Questo fa parte della strategia di cui parlavamo prima. I magistrati corrotti sono utili al sistema.

Ma qui stiamo parlando del CSM, del più alto livello del potere giudiziario ...

Certo, certo si tratta di un fatto di estrema gravità. Nel CSM d’altronde non vi sono solo componenti togati. Una buona parte è diretta emanazione del potere politico. Come vice-Presidente è stata scelta una persona assolutamente dubbia come Mancino, in perfetta sintonia con la strategia di depotenziamento della Magistratura che ha trovato un coronamento nella nomina a guardasigilli di Clemente Mastella. Inizialmente egli era titubante ad accettare quell’incarico. È stato convinto da Andreotti e Cossiga per "compiere una missione", secondo quanto dichiarato a caldo dallo stesso. La missione che doveva compiere - ed in buona parte vi è riuscito - è proprio quello dell’imbavagliamento della Magistratura.

Con il siluramento di fatto di De Magistris è persa la battaglia per la legalità in Calabria?

Credo che non sia ancora del tutto persa. Sicuramente è arrivata ad un punto molto critico, tragico direi. Peggio di quello che è stato fatto a De Magistris è il silenzio che è caduto sulla vicenda. Dopo gli iniziali clamori vi è un oscuramento irreale da parte della stampa, e non me ne meraviglia. Un silenzio da parte della società civile, distratta da altri interessi. Non ci sono più i movimenti di partecipazione emotiva, come quelli suscitati da AnnoZero di Santoro ed altre trasmissioni televisive che hanno avuto un grande impatto sull’opinione pubblica. La battaglia non è persa, ma stiamo in un punto molto tragico perché non vi è una reazione delle associazioni, dei giovani, degli intellettuali come succedeva solo qualche mese fa a fronte degli iniziali attacchi a De Magistris. Adesso che questo processo si sta compiendo - e si sta compiendo nella maniera più ignominiosa qual’è il pronunciamento del CSM, non vedo alcun tipo di reazione. Siamo in un vicolo cieco. Quando De Magistris ha chiamato a raccolta la società civile a difesa dell’indipendenza della Magistratura, poiché questo era il senso delle sue esternazioni, le interviste, le apparizioni in televisione, ha trovato risposte entusiaste. Quella chiamata alle armi aveva prodotto i suoi effetti, aveva galvanizzato un movimento. Oggi non può ricorrere a quelle armi perché tutto sarebbe usato contro di lui, per metterlo definitivamente a tacere. Si è creato un circolo vizioso. Da un lato De Magistris non può parlare perché verrebbe attaccato, dall’altro con una sentenza ignominioso come quella che è stata fatta gli viene tolta persino la possibilità di fare il giudice monocratico. Ecco la dimostrazione evidente che questo accerchiamento sta producendo i suoi frutti amari. Bisognerebbe che vi fosse una forte reazione dell’opinione pubblica e fosse così forte da cancellare questo disegno perverso.

Proprio sulla giustizia il centro-sinistra giocava un atout per rimarcare la sua diversità rispetto all’era Berlusconi.

Purtroppo io ritengo che tutte le parti politiche sono concordi in questa strategia di accerchiamento della Magistratura. Alla fine il governo si sinistra ha fatto molto peggio dei quello di destra nella politica per la giustizia. Il governo Berlusconi si era "limitato" a fare delle leggi ad personam e contra personam. Ad personam per difendere gli interessi del capo del governo, contra personam come quelle contro Caselli per impedirgli di assumere l’incarico di Procuratore Nazionale Antimafia. Con la sinistra abbiamo assistito ad un crescendo di attacchi alla Magistratura, come quelli messi in atto contro De Magistris e la Forleo, che non hanno precedenti nella storia della Repubblica italiana.

De Magistris sostiene di tenere un diario nel quale annota tutti i fatti strani che gli accadono, che consentirebbe in caso dovesse succedere qualcosa di identificare gli eventuali mandanti di quell’azione scellerata. Sembra il grido di dolore di una persona che si sente in pericolo. Come se avesse affidato ad un memoriale la sua difesa.

Si intende qualcosa di tragico? Ritengo che non succederà perché la strategia è cambiata. Il tritolo per togliere di mezzo i giudici non serve più. Adesso i giudici vengono fatti fuori con altri mezzi, legali o pseudo legali: collegi fatti ad hoc, ispezioni, rimozioni. Quello che è stato fatto a De Magistris è stato possibile grazie a modifiche legislative introdotte dal Ministro Mastella. Oggi non vengono adoperati più i metodi precedenti poiché il terrore provocava la reazione violenta dell’opinione pubblica. I metodi attuali passano per metodi legali, in difesa della democrazia e riescono a passare inosservati. Ritengo che la politica ha una grande paura della reazione di massa come quella che si è verificata dopo le stragi del ’92, che ha portato ad un inasprimento delle pene verso i mafiosi, ad una dura repressione poliziesca. I poteri forti oggi sono convinti che non bisogna arrivare a tanto, bisogna tenere basso il profilo. Una strategia diversa, ma più utile, attuata attraverso l’uso della politica che riesce ad aggirare uno dei principi fondamentali della Costituzione quale dell’indipendenza dei poteri dello Stato. È contro questo disegno che occorrerebbe la mobilitazione dell’opinione pubblica, della società civile che si dovrebbe ribellare. Purtroppo la società civile sembra narcotizzata, non sta avvenendo alcuna reazione come mi sarei aspettato.

Con un pizzico di "humeur noir" si potrebbe pensare che la rimozione di De Magistris sia stata finalizzata a tutelare la sua salute e quella dei cittadini?

Ironia a parte, è proprio quanto si vuol far credere. Nel caso della Forleo si è addirittura tentato di farla passare per pazza, di dipingerla come nevrotica. Per De Magistris sarebbe stato difficile far passare una teoria del genere, poiché ha nel suo DNA il gene del giudice. Credevo che fosse figlio e nipote di magistrato. Adesso scopro addirittura che il suo bisnonno faceva parte della magistratura borbonica. Nella sua storia sono riassunte tre generazioni di magistrati. Non avendo potuto far passare questa teoria, hanno adoperato altri metodi servendosi di una sentenza in cui si leggono motivazioni inesistenti, non vi si trovano argomentazioni plausibili. Siamo di fronte ad una abnormità da un punto di vista giuridico.

Ritiene che la rimozione di De Magistris possa normalizzare la magistratura in Calabria?

Il tentativo è quello. Io non conosco abbastanza la situazione della Magistratura in Calabria per esprimere giudizi. De Magistris attaccava anche altri membri della stessa Magistratura in Calabria, accusandoli più o meno velatamente, più o meno palesamene - ma giustamente - di inefficienza, di collusione o altro. Ed ha provocato una dura reazione. Questa è una situazione che è presente anche a livello nazionale. La Magistratura non è più quella dei tempi di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino. Anche allora - occorre ricordarlo - vi erano giudici come Signorino che erano addirittura collusi con la mafia, esistevano giudici come Giammanco, come Meli che cercavano di ostacolare l’azione di Falcone e Borsellino con ogni mezzo. Oggi ritengo che la situazione sia di molto peggiorata. Vi sono infiltrazioni all’interno della Magistratura. Non sono isolati i casi in cui i mafiosi, i ’ndranghetisti hanno fatto studiare e mandato all’università i figli per inserirli in Magistratura e nei gangli vitali della pubblica amministrazione. L’accerchiamento stia avvenendo dall’esterno, dalla parte politica e dall’interno, un attacco concentrico che mina la credibilità e l’indipendenza della Magistratura.

Lei ritiene che questo impegno per le "liste pulite", come rappresentato in forma emblematico dall’esposizione politica della figura di sua sorella in Sicilia, possa rappresentare un argine a questa deriva, segnare un principio di maggiore legalità nelle nostre regioni?

Non penso che siamo ancora a quel punto, vi sono ancora incertezze e titubanze che impediscono una applicazione rigorosa del principio di eticità nella partecipazione politica. Persino le liste ipotizzate da Grillo alla fine si sono ridotte a tre in Sicilia, in Friuli ed in un’altra regione. Non possono portare a cambiamenti significativi. Ritengo più utile una mobilitazione totale dell’opinione pubblica con movimenti, manifestazioni nelle piazze che facciano arrivare la loro voce nei palazzi del potere. Per ottenere questo risultato è necessario che le azioni di lotta abbiano una visibilità mediatica. In questo momento serve portare all’attenzione dell’opinione pubblica il tema della legalità. Quei pochi che hanno percepito la centralità del problema debbono fare ogni sforzo per portalo nelle sedi opportune. Al punto in cui siamo arrivati credo non sia più possibile emendare il sistema dall’interno: è arrivato ad un punto tale di degenerazione che provocare un cammino virtuoso di riforma mi pare francamente velleitario e frustrante.

Lei oggi è qui per difendere Emiliano Morrone e Saverio Alessio i quali nel loro libro "La società sparente" hanno duramente attaccato questo sistema. Cosa lo ha spinto a sobbarcarsi a questa fatica, considerato che lo ha fatto gratuitamente, come impegno civile.

Io sono solito affermare che ho due lavori per vivere, poiché forniscono i mezzi di sostentamento a me ed alla mia famiglia ed uno per non morire, per continuare a credere nel prossimo, nella utilità di un impegno civile. Per tutta la vita ho mantenuto un profilo riservato, dedicandomi esclusivamente al mio lavoro. Solo con il sacrificio di Paolo, ho capito che non potevo fuggire di fronte al terribile dovere di continuare la sua battaglia ideale per la legalità e la giustizia. Vado dove mi porta il cuore, direi usurpando il titolo di un noto romanzo. Sono venuto indignato per il tentativo di imbavagliamento dell’informazione. Ho voluto dare il mio piccolo contributo di testimonianza. Questa è un’altra battaglia che vale la pena di combattere per ridare dignità alle nostre regioni.

Oreste Parise, Rende, 28 febbraio 2008

Tratta, con il consenso dell’autore, dal sito http://www.oresteparise.it., l’intervista è stata pubblicata anche sulla testata calabrese "Mezzo Euro" (1 marzo 2008).

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Per completezza di informazione, si riporta, a seguire, il passo del libro "La società sparente" (Neftasia editore, Pesaro, 2007), che apre l’aggiornamento contenuto nella seconda edizione, intitolato Suona la campanella. Tiro mancino a De Magistris?.

Nell’edizione aggiornata del volume, c’è anche un pezzo di Marco Travaglio sulla vicenda del pm di Catanzaro: parte del discorso tenuto del giornalista italiano nel suo intervento del novembre 2007 al Parlamento europeo, insieme a Beppe Grillo e allo stesso De Magistris.

La scelta di tenere bianche, nella seconda edizione, le pagine 164 e 165 del testo è stata presa volontariamente dagli autori, senza alcun obbligo del giudice; come invece qualche organo di stampa ha riportato per errore.

Un’integrazione del libro si impone. Molto è accaduto dall’uscita, il 19 settembre 2007. Da subito, si segnala che le pagine 164 e 165 di questa edizione sono state volutamente lasciate bianche. Ma non per arretrare, sia chiaro.

Nonostante il racconto coscienzioso dei fatti lì contenuti nell’edizione precedente, c’è stata una richiesta di sequestro del libro, con udienza il 12 dicembre 2007 presso il Tribunale di Cosenza.

Violenta ostilità, poi, dalla politica, tacciata di irresponsabilità per la scarsa risposta a vicende e segnali di crimine.

Nessuna diffamazione: nel riportare storie del 1997 in Calabria, si è mantenuto un atteggiamento di estrema prudenza e tutela nei confronti dell’odierno ricorrente, l’imprenditore Domenico Parrotta, in ordine a quanto all’epoca circolava nella società di San Giovanni in Fiore, su cui scrisse anche il mensile locale «Il Cittadino» del 30 giugno 1997.

In quell’anno, un’operazione antidroga della Procura di Cosenza, denominata Drugstore, portò a vari arresti nel comune calabrese, prevalentemente di giovani tossicodipendenti.

Nel libro, l’analisi del fenomeno criminale è stata condotta su un piano più generale, risultando in quelle indagini del ’97, oltre a tossicodipendenti, anche membri della cosiddetta società bene del luogo, commercianti e imprenditori. I rilievi della precedente edizione hanno riguardato proprio questo aspetto, peraltro inserito in un contesto di maggiore approfondimento sulla criminalità e il malaffare in Calabria.

Nell’edizione precedente, il fatto che una persona vicina a Tommaso Martino avesse riferito del forte coinvolgimento in quel traffico di droga dell’odierno ricorrente è stato trattato con la massima garanzia per l’interessato: è stato scritto, peraltro, che i successi commerciali di Parrotta sono addebitabili alla sua capacità di gestione d’impresa e che «uno sono i fatti, altro il resto». Per certo, non c’è stata alcuna intenzione di screditarne l’onore e l’immagine. Non si è affatto voluto utilizzare il libro come strumento per colpire personalmente l’imprenditore in questione. Tra l’altro, riportare quel riferimento, con la cautela d’averne preso chiaramente le distanze e di non averlo accreditato, non è stato campato in aria, dal momento che un cognato di Parrotta fu toccato dalle indagini del ’97, interrogato dal gip e perquisito. Oltretutto, in un’informativa dei carabinieri alla Procura di Cosenza allora si scriveva dell’esistenza di più livelli riguardanti quel traffico di droga, come pure dell’omertà di consumatori e spacciatori. E Tommaso Martino, giovane tossicodipendente poi morto ufficialmente per overdose, fu tra gli arrestati. La riflessione nel testo è stata, invece, sulla sufficienza con cui la classe politica ha affrontato il problema della criminalità in quell’area, opponendo, anche oggi, una negatività, all’istologia sul cancro della mafia, che è di mera autodifesa.

Oltretutto, la riflessione, di carattere generale, è stata anche sul paradosso che i più deboli e disgraziati siano da soli nel crimine, anche oltre i fatti e gli echi dell’operazione Drugsore, e le mistificazioni che la società di San Giovanni in Fiore produsse in quel tempo.

Parrotta è pulito, lindo: si scrive più esplicitamente, con la speranza di non essere fraintesi anche stavolta. Le pagine 164 e 165 della precedente edizione sono state lette durante la trasmissione radiofonica Un abuso al giorno toglie il codice d’intorno, condotta dal giornalista Roberto Galullo su Radio 24. Per Galullo, non c’è stata diffamazione ma solo racconto, con la dovuta continenza e cautela.

La decisione di tenere vuote le pagine suindicate, di là dalla vicenda particolare, vuole indurre a riflettere sulla difficoltà di raccontare la Calabria.

L’impegno in favore della legalità, della verità e dell’emancipazione può determinare pesanti e diverse ritorsioni.