lunedì 29 ottobre 2007

L'isolamento di chi denuncia. La Calabria è vittima di se stessa


Francesco Saverio Alessio, con me autore di "La società sparente", un libro sulla Calabria vinta dalla ’ndrangheta e dal clientelismo politico, è stato minacciato lo scorso 26 ottobre. Ha ricevuto a casa un biglietto non firmato. Lo abbiamo interpretato quale scherzo cattivo, per ora.

Come da copione, la notizia è stata data in Calabria solo da pochi organi di stampa, i quali da tempo seguono con grande sensibilità i temi forti in loco. La Rai regionale ha taciuto completamente, invece. E mi chiedo il perché di questo strano silenzio, costante, poi. Quindi, scarsa solidarietà in generale, a eccezione di amici e interessati al fermento per la legalità in Calabria, di cui Alessio e io siamo anche parte.

Nessun commento, non un gesto di vicinanza né voci d’appoggio da forze interne alla società civile, salvo l’immediato conforto di Giovanni Pecora, di "Per la Calabria", a nome di tutta la rete. Qualche blog su Internet s’è aggiunto con coraggio (http://giustizia-perseo.blogspot.com); poi nessuno, niente.

A me sembra che il dibattito sul dramma calabrese sia fermo all’occhio e all’eco della tv. Se la Calabria entra nel discorso sul sistema italiano come emblema della corruzione, ritengo che s’inquadri e divulghi nell’errore il suo problema: la malavita. Che è in primo luogo assenza, volontaria deresponsabilizzazione.

La questione, a mio avviso, è anzitutto culturale. Me ne rendo conto meditando sull’isolamento che con Alessio sto vivendo dall’uscita del libro.

Osservare i fenomeni legati alla criminalità, analizzarli e descriverli nel profondo non suscita condivisione e non è materia di confronto, sia in Calabria che presso gli intellettuali e i media italiani.

Sono in gioco interessi e poteri troppo grossi. E tanto basta, e come, perché il quarto potere si fermi con clangore solo su aspetti in emersione del problema calabrese; ignorando del tutto il fondale da cui originano.

Alessio e io abbiamo individuato nell’assistenzialismo a oltranza, voluto da Roma, e in movimenti elettoralistici fuori dello schema bipolare italiano alcune delle cause dell’espansione della ’ndrangheta.

Se la società non c’è, s’allarga il crimine organizzato. L’assistenza di Stato e la dipendenza prodotta dallo scambio di voti e dalla gestione degli elettori come matricole da sistemare sono il centro d’un carcinoma in metastasi. Per ciò, la Calabria si distingue dal resto del Sud e dell’Italia.

L’antropologo Francesco Mauro Minervino, che per ragioni professionali ben conosce la regione e la sua gente, parla della marginalità locale come impossibile da raccontare.

Lo scrittore Vittorio Messori, invitandomi alla cautela rispetto alla capacità propulsiva di Internet circa l’aggregazione dei calabresi reattivi, mi ha offerto uno spunto di riflessione. Per Messori, noi calabresi confermiamo il malaffare proprio quando i fatti ci impongono di combatterlo senza tregua. "Chi è causa del suo mal, pianga se stesso", verrebbe da chiosare.

Tutto il recente movimento per la giustizia e i diritti negati in Calabria non può limitarsi alla piazza. Né può continuare solo con un linguaggio di rumori e astrazioni, generalizzazioni, emozioni.

Ci vuole una rivoluzione culturale. Serve per moltiplicare le voci che chiedono libertà e aumentare la vigilanza critica su provvedimenti e fatti politici funzionali alla strategia della confusione, dell’abuso e dell’illegalità.

La brutta vicenda di De Magistris non è da limitare allo scontro sui media col guardasigilli Mastella. Lì a Catanzaro, in procura, ci sono apparentamenti noti e rapporti particolari di cui nessuno dice pubblicamente.

Oggettivamente, il punto vero è l’esistenza di "parentele" allargate, cui l’ex ministro Castelli ha fatto un piccolissimo accenno da Vespa, e l’uso di postazioni chiave per sbrogliare faccende molto ingombranti.

Che, in ordine a certe alleanze, si voglia parlare di massoneria, di ’ndrangheta tout court o di adeguate rappresentazioni geometriche dei rapporti in gioco, la sostanza non muta.

Guardando in trasparenza, questo è il male della Calabria: il fatto che viviamo sotto uno stesso tetto un po’ tutti. E quindi non possiamo sbilanciarci, non possiamo dissentire, non possiamo solidarizzare con chi i fatti ricostruisce, non possiamo denunciare.

Chi lo fa, è avvertito. Poi, non si sa. Ma si può immaginare.

Emiliano Morrone

emiliano.morrone@libero.it

venerdì 26 ottobre 2007

Minacciato Francesco Saverio Alessio, autore di "La società sparente"

Francesco Saverio Alessio, uno degli autori di “La società sparente”, libro su ‘ndrangheta e politica, ha ricevuto oggi intorno alle 17 un biglietto, nella sua abitazione in Calabria, con scritto, in ritagli di giornale, “attento alle tue mosse, taci”. Lo stesso Alessio aveva parlato lo scorso 1 ottobre, in occasione della presentazione del volume a Roma, in Campidoglio, del pericolo di ritorsioni personali, presente la parlamentare Angela Napoli, della Commissione antimafia.

Il testo, scritto insieme ad Emiliano Morrone e pubblicato dall’editore Neftasia di Pesaro, affronta il tema della corruzione e collusione in Calabria, raccontando vicende e nomi del malaffare nella regione e spiegando le ragioni dell’espansione mondiale della ’ndrangheta calabrese. Emiliano Morrone aveva riferito, durante la presentazione romana, di una serie di collegamenti fra la massoneria e l’inchiesta “Why not” condotta dal pm Luigi De Magistris, al quale le indagini sono state di recente avocate dal procuratore generale reggente di Catanzaro, Dolcino Favi.

In seguito, durante il sit-in del Comitato pro De Magistris davanti alla sede del Consiglio superiore della Magistratura, i due si erano esposti, lo scorso 8 ottobre, descrivendo rapporti fra centri di potere e la ’ndrangheta e sostenendo che recenti scelte amministrative sull’organizzazione regionale della sanità e della forestazione sono state compiute in Calabria per allargare clientele e consenso elettorale. Avevano aggiunto, dandone indicazioni, che ci sono legami fra politici di spicco calabresi e campani, finalizzati a finanziare attività di riciclaggio e copertura gestite dalla camorra. Per Alessio, che si dice comunque tranquillo, dopo l’accaduto, «il clima è torbido e anche confuso, quindi occorre non spaventarsi ma nemmeno sottovalutare».

Immediatamente, è arrivata ad Alessio la solidarietà della rete "Per la Calabria".

sabato 20 ottobre 2007

De Magistris: "Ci avviamo al crollo dello stato di diritto"


PM CATANZARO: AVOCATA INCHIESTA ’WHY NOT’ CATANZARO - Ansa - La Procura generale di Catanzaro ha avocato l’inchiesta Why Not sul presunto uso illecito di finanziamenti pubblici di cui era titolare il pm Luigi De Magistris. Lo si è appreso stamani in ambienti giudiziari.

L’avocazione è stata disposta dal procuratore generale facente funzioni, Dolcino Favi, e sarebbe stata motivata da una presunta incompatibilità di De Magistris nel procedimento legata alla richiesta di trasferimento cautelare d’ufficio che è stata fatta nei suoi confronti dal ministro Mastella. Nel caso specifico sarebbe stato ravvisata una incompatibilità nel procedimento da parte di De Magistris proprio per il coinvolgimento del ministro. La situazione determinatasi dopo la richiesta di trasferimento, secondo quanto si è appreso, avrebbe dovuto imporre l’astensione da parte del pm. Siccome l’astensione non c’é stata, né il capo dell’ufficio ha provveduto alla sostituzione del magistrato titolare dell’inchiesta, il procuratore generale ha provveduto all’avocazione applicando l’art 372 lettera A del codice di procedura penale. La norma prevede l’obbligo per il procuratore generale di disporre l’avocazione nel momento in cui ravvisi una situazione di incompatibilità. Il procuratore generale ha deciso di valutare la situazione dopo che si è appreso che il ministro della Giustizia è stato iscritto nel registro degli indagati. Nell’inchiesta, oltre a Mastella, sono indagati, tra gli altri, il presidente del Consiglio, Romano Prodi, esponenti politici del centrodestra e del centrosinistra e imprenditori.

DE MAGISTRIS, FINE INDIPENDENZA MAGISTRATI "Ancora una volta vengono rese pubbliche a mezzo stampa notizie riservate che riguardano il mio ufficio, le mie indagini, e la mia persona. Se è vero quello che l’Ansa ha scritto, non avendo io ricevuto alcuna notifica, ci avviamo al crollo dello stato di diritto, registrandosi anche, nel mio caso, la fine dell’indipendenza e dell’autonomia dei magistrati quale potere diffuso". Lo ha detto il pm di Catanzaro, Luigi De Magistris, in una dichiarazione all’ANSA, in merito all’avocazione dell’inchiesta Why Not da lui condotta da parte della Procura generale.

Anche su la Voce di Fiore

La procura generale di Catanzaro ha tolto l'inchiesta Why not a De Magistris. Lo stato di diritto è in pericolo

Catanzaro, 20 ott. (Adnkronos) - A quanto apprende l'ADNKRONOS, la procura generale di Catanzaro avrebbe tolto la titolarita' dell'inchiesta 'Why not' sul presunto uso illecito di finanziamenti pubblici al sostituto procuratore Luigi De Magistris. In particolare, il procuratore generale Dolcino Favi avrebbe avocato a se' l'indagine a causa di un'incompatibilita' di De Magistris legata alla richiesta di trasferimento cautelare avanzata dal ministro della Giustizia Clemente Mastella nei confronti del pm di Catanzaro.

Politica e informazione d'affari

Dalla mala-politica alla mala-informazione: eccoli i poteri forti


di Chicco Alfano
venerdì 19 ottobre 2007 - il pezzo è già su Ammazzateci tutti
Chicco AlfanoSoltanto se ti affacci alla finestra capisci di essere nel 2007, per la tecnologia che ci circonda, altrimenti la sensazione che si ha è la stessa che c’era nel 1992 poco prima delle stragi di Capaci e via D’Amelio.
Dopo la persecuzione professionale nei confronti di De Magistris i poteri forti, i poteri occulti, quegli uomini che si spacciano per politici, hanno deciso di passare alla seconda fase: una busta con un bel proiettile, ovviamente con una stella a cinque punte per depistare le indagini, per dirgli chiaramente adesso basta.
La stessa identica cosa che capitò al povero Giovanni Falcone, che arrivato a toccare i veri comandanti, si ritrovò con vari deferimenti al CSM, con amici che lo tradirono al momento in cui si votò la sua nomina a procuratore capo di Palermo o quando, sciolto il pool, si ritrovò a dover combattere con l’allora Procuratore Capo che dimenticava di effettuare richieste di rogatorie o che addirittura lo relegava ad effettuare anticamere lunghissime.

Dopo passarono all’attentato dell’Addaura del 1989 quando nella residenza estiva di Giovanni Falcone fu trovato un borsone pieno di tritolo che però non era innescato, pochissimi attestati di solidarietà ma moltissime critiche da parte di quasi tutta la politica che paventava addirittura che Giovanni Falcone quell’attentato se lo fosse preparato da solo.
Fallita anche questa pratica iniziò il linciaggio morale con le famosissime lettere anonime che, si diceva venissero dall’interno della stessa procura di Palermo, attaccavano il giudice dicendo che usava la magistratura soltanto per scopi personali quali il ricatto ai fini di carriera in magistratura o addirittura carriera politica.
L’ultimo passaggio fù invece l’esplosivo in autostrada a poche centinaia di metri da Capaci che spense definitivamente la vita di un uomo che non sapeva dire SI a nessuno.
Andò meglio, si fa per dire, a Paolo Borsellino lui dopo il maxi processo capì subito il clima che si stava creando attorno a loro e decise di andare a lavorare a Marsala come procuratore capo.
Una procura che non si era mai occupata di mafia mentre lui aveva intuito il peso mafioso che Trapani aveva e decise di andarci.

Incominciò a scoperchiare le pentole, a ricostruire i passaggi, a dare un volto ai personaggi politici e non che spadroneggiavano in quella provincia che deteneva il primato italiano in proporzione al numero degli abitanti della presenza di banche cooperative agricole e di società finanziarie, capì immediatamente che la provincia di Trapani non era altro che una lavanderia di cosa nostra.
Anche lui fù oggetto delle stesse attenzioni di Giovanni Falcone e anche lui morì saltando in aria con il tritolo.
Oggi i poteri forti hanno capito che l’utilizzo del tritolo comporta soltanto delle seccature, quali il controllo massiccio del territorio, e lo sa bene cosa nostra dopo il periodo stragista del 1992 quando all’indomani della strage di via d’Amelio la Sicilia fu invasa dai militari dell’esercito impegnati nella famosissima operazione Vespri Siciliani” che durò per diversi anni.
Allora il sistema ha pensato di cambiare strategia: perché non fare una leggina che permette al Ministro di Grazia e Giustizia di turno di interferire nella attività della magistratura?

Detto fatto il nostro Ministro di Grazia, e basta perché di giustizia fino ad oggi non se ne è fatta ad eccezione di provvedimenti personali, decide di portare in aula il nuovo ordinamento giudiziario che alla fine non è altro che un grosso regalo fatto alle mafie e a tutti i politici beccati con le mani nella marmellata.
Prima vittima l’integerrimo De Magistris.
Un magistrato che non sta facendo altro che il suo mestiere per il quale è pagato, ma siccome ha toccato degli interessi molto forti e uomini influenti il nostro sistema politico ha deciso che doveva essere eliminato, non con il tritolo, semplicemente mandando degli ispettori presso la procura dove egli lavora.
Ispettori che alla conclusione della loro visita a Catanzaro concludono dicendo che questo magistrato deve essere rimosso con carattere d’urgenza.
Questa richiesta ha però provocato una reazione da parte di una parte della società civile che nessuno si sarebbe mai aspettato: la richiesta molto forte di non trasferire il magistrato.

Nasce così lo striscione “E ADESSO TRASFERITECI TUTTI”, sorretto dai fratelli Pecora durante il primo sit-in spontaneo davanti alla procura di Catanzaro all’indomani della richiesta da parte di Mastella sul trasferimento di De Magistris.
Parte una lettera di Sonia Alfano, sottoscritta anche da Salvatore Borsellino, in cui si chiede al capo dello stato il suo autorevole intervento per porre fine alla sgradevole presenza di Mastella nell’esecutivo di governo.
Nasce così la partecipazione di migliaia di ragazzi che con le loro firme, quasi cento mila tra cartacee ed online, chiedono al CSM di non toccare De Magistris.
Nella storia della Repubblica italiana non era mai successo che venissero prese le difese di un magistrato sottoposto a richiesta di trasferimento per incompatibilità ambientale da parte della società civile, si era invece abituati a riempire le piazze dopo che questi venivano assassinati.

Uccisi con cariche di tritolo, a colpi di mitra, con falsi incidenti dopo aver subìto linciaggi morali che avrebbero portato all’isolamento che è l’ anticamera della morte materiale.
Si è detto no, si sono organizzati banchetti per la raccolta firme anche in Sicilia dove purtroppo l’antimafia era diventata troppo parolaia e poco presente nelle piazze, troppo presente nei convegni passerella e poco presente nei quartieri degradati.
Abbiamo deciso in Sicilia di riportare,almeno un parte lo ha fatto, l’antimafia per strada e devo dire che la presenza dei ragazzi dei meetUp di Palermo è stata davvero fondamentale, ragazzi di venti anni che fortunatamente non hanno vissuto il periodo delle catene umane o peggio ancora quello di vedere le lacrime dei poliziotti, carabinieri e finanzieri quando vedevano i corpi dei loro colleghi fatti a brandelli dal tritolo.
Una mobilitazione che non accadeva da tantissimi anni.

Qualcuno rispondeva che avrebbe voluto firmare ma che aveva paura che se Mastella si fosse dimesso sarebbe caduto il governo.
Ma allora che cada questa governo che viene rappresentato da personaggi che nei loro armadi non contengono scheletri ma cimiteri, personaggi come lo stesso Mastella che è il testimone di nozze di un pentito di mafia, Francesco Campanella affiliato al mandamento di Villabate alle porte di Palermo, ragazzo intraprendente che è stato fino al 2003 il segretario nazionale dei giovani dell’UDEUR, lo stesso che approfittando della carica istituzionale di presidente del consiglio comunale di Villabate ha procurato la carta d’identità falsa a Bernardo Provenzano per potersi andare ad operare in Francia.
Lo stesso Mastella che nel 1974, per sua stessa ammissione, viene assunto presso la sede RAI di Napoli per raccomandazione diretta di Ciriaco De Mita e che un anno dopo si candida al parlamento nazionale e durante la pausa pranzo chiama dal centralino della RAI i sindaci dei comuni ricadenti nel suo collegio spacciandosi per il direttore generale che segnalava il baldo giovane.

Lo stesso che ci parla di moralità, la stessa storia del bue che dice cornuto all’asino.
Un politico che con il suo partito ha ottenuto l’1,5 % alle ultime elezioni e che tiene sotto minaccia questo governo precario.
O come la storia del Ministro Amato che si permette di tacciare di qualunquismo un ragazzo palermitano solo perchè gli ha chiesto, in occasione della commemorazione Falcone, di non fare entrare inquisiti e condannati nelle aule parlamentari.
Lo stesso ministro che decide di non prendere posizione sullo scioglimento del Comune di Barcellona Pozzo di Gotto dopo che una commissione prefettizia di accesso agli atti gli dice, con una relazione di ben 143 pagine, che la situazione in quel comune è davvero inquietante, lo stesso ministro che in pieno periodo tangentopoli era il tesoriere del Partito Socialista Italiano, lo stesso partito di Bettino Craxi.

Ma purtroppo oggi non dobbiamo difenderci solo dalla mala politica, ma dobbiamo guardarci le spalle anche dalla mala informazione, da tutte quelle testate giornalistiche che sono serve della casta, ed ultimo esempio lampante lo abbiamo con il quotidiano Calabria Ora.
Il suo direttore Polichieni ha avuto l’ordine di caricare la penna di mirare e sparare addosso all’antimafia, addosso a chi combatte quotidianamente il malaffare mettendoci la faccia.
Un attacco fatto in malafede, sbagliando sapendo di sbagliare solo per ripagare i favori ottenuti nel tempo dai suoi amici politici calabresi indagati e condannati.
Se ne uscito con un articolo dal titolo a nove colonne in cui attacca il movimento Ammazzateci Tutti di aver preso un finanziamento dal consiglio regionale della Calabria per l’organizzazione del meeting legalìtalia, svoltosi ad agosto a Reggio Calabria, arrivando a conclusione che Aldo Pecora predica bene ma razzola male perché attacca il consiglio regionale della Calabria, che risulta essere il più inquisito in Europa, e poi ne richiede allo stesso finanziamenti.
È tutto totalmente falso e privo di fondamento.

Un buon giornalista prima di pubblicare le notizie dovrebbe andare a verificare ciò che intende pubblicare, a maggior ragione se la vittima è un movimento antimafia, ed evitare di fare magre figure, per non usare un altro termine, a meno che la notizia non la si vuole far passare così come è.
È qui scatta la malafede perché il sig. Polichieni sa benissimo che il finanziamento, che tra l’altro non è ancora arrivato, non è stato richiesto al consiglio regionale ma alla Giunta regionale e quindi ente diverso, bilancio e capitoli diversi ed anche un bambino che frequenta le scuole elementari è a conoscenza di questa separazione amministrativa.
Altra cosa il movimento non nasce per allevare candidati, ma nasce semplicemente dalla voglia di dire basta a questo sistema fatto di connivenza tra la politica la mafia e la massoneria che il direttore di Calabria Ora conosce benissimo dato che dopo aver avuto dei incidenti di percorso anni addietro con la giustizia, quali un arresto con conseguente processo, condanna in primo grado e assoluzione in secondo grado, a suo dire si professa vittima di un errore giudiziario o di chissà quale montatura contro di lui.
Se così fosse stato vero il Polichieni dovrebbe combattere questo sistema rimanendo accanto ai giovani Calabresi e non attaccarli perché altrimenti passa tutt’altro messaggio.
Ma siccome nelle vita sono abituato a guardare con sospetto tutto ciò che mi circonda, guardo con sospetto anche il direttore Polichieni , e penso che la sua malafede sia reale.
Caro direttore le voglio ricordare che Aldo Pecora non è solo ma ha alle spalle un movimento formato da tanti ragazzi, ha alle spalle familiari di vittime della mafia come Sonia Alfano, Rosanna Scopelliti il sottoscritto e tanti altri e mi creda non appoggeremmo mai un ragazzo che vorrebbe costruirsi la propria carriera politica sulle nostre spalle perché noi siamo stufi del sistema e siamo stufi dei servi del potere.

Le vorrei ricordare un’altra cosa: un vero giornalista la notizia non la costruisce al desk ma la insegue e si ricordi che a legalìtalia eravamo tantissimi e non poche decine come il suo giornale ha pubblicato, come del resto non ha pubblicato la notizia che il movimento ha aperto una sede anche in Lombardia, in Lombardia direttore, dove la mafia la ‘ndrangheta la camorra e la sacra corona unita rinvestono il loro denaro guadagnato illecitamente per ripulirlo.
Ma lei queste cose non le scrive perché non interessano né a lei né al suo Editore e su questo Sicilia e Calabria sono uguali perché anche da noi il buon Ciancio, padrone dell’informazione siciliana, si comporta come voi.

Noi non vogliamo essere l’antipolitica, noi vogliamo semplicemente far capire alla gente che la lotta alla mafia non si deve fare perché è opportuno per qualche poltrona ma perché e giusto farla per il futuro dei nostri figli e per rispettare tutti coloro che sono morti per combattere questa guerra.
Vorrei solo lanciare un appello a tutti: non attaccatevi troppo ai politici di turno perché ricordatevi che una volta le mafie si servivano della politica mentre invece oggi è la politica che ha bisogno delle mafie e la storia ce lo ricorda, quindi non abbiate paura di fare una scelta, unica e secca perché al contrario di quello che disse l’allora ministro Lunardi, con le mafie non si può e non si deve convivere, e non possiamo permettere alla politica di attaccare la democrazia o peggio ancora non possiamo permettergli di continuare a gestire il paese come se fosse una società privata.

Chicco Alfano


venerdì 19 ottobre 2007

Mastella indagato da De Magistris

De Magistris indaga su Mastella. Il ministro: «Sono estraneo»

Il Guardasigilli: a primavera si vota


de magistris

Dal quotidiano L'Unità. Mastella? Why not. Nella sterminata lista degli iscritti al registro degli indagati nell’inchiesta della Procura di Catanzaro, ora spunta anche il nome del ministro della Giustizia Clemente Mastella. Sì, proprio il ministro che da settimane porta avanti una dura campagna contro il pubblico ministero Luigi De Magistris finisce anche lui sotto la lente d’ingrandimento del pm che ha raccolto informazioni su centinaia di politici, giornalisti, uomini d’affari, membri della Commissione Antimafia, prefetti, direttori del Sismi, della Dia, delle Poste. Di tutto di più. Nell'inchiesta, la Why not appunto, De Magistris indaga sull'esistenza di una sorta di "nuova tangentopoli" che vedrebbe all’ordine del giorno truffe e finanziamenti illeciti, una vera e propria associazione a delinquere.

Un terremoto che ha avuto nuove scosse dalla decisione del ministro Mastella di chiedere il trasferimento del pm calabrese, per la sua «vigilanza assai inefficace» sull'iter di alcune inchieste, nonché per «comportamenti svincolati dalle norme processuali, ordinamentali e deontologiche». Ma ad oggi, gli ispettori del ministero della Giustizia non hanno trovato nulla e sul caso De Magistris si è alzato il polverone di chi teme che la fretta di Mastella sia dovuta al fatto che il pm è arrivato dove non doveva arrivare. Così la solidarietà del mondo delle associazioni, su tutti i ragazzi di Locri, dei parenti delle vittime di mafia, del gip Clementina Forleo, l’altro magistrato che è convinta di non andare giù ai politici.

Mastella, per ora si dice tranquillo, sereno e soprattutto estraneo ai fatti. E comunque parla d'altro, delle elezioni che lui ora vedrebbe bene nella prossima primavera.

Dalle prime indiscrezioni, pare che al centro delle accuse contro Mastella ci siano i suoi presunti rapporti con l'imprenditore Antonio Saladino, ex presidente della Compagnia delle opere della Calabria e pedina centrale dell'inchiesta Why Not, dal nome dell’agenzia interinale intestata allo stesso Saladino. Agli atti, ci sarebbero intercettazioni telefoniche tra il ministro e l’imprenditore. Mastella, comunque, non ha ancora ricevuto nessun avviso di garanzia: ha scoperto di essere indagato, dice, «da notizie giornalistiche». «Se così è – ha commentato – dichiaro di attendere serenamente gli sviluppi di questa situazione». E sottolinea di «non essere mai stato iscritto a nessuna loggia massonica, né in Italia né all'estero, e di non aver mai partecipato a comitati d'affari o a singoli affari, come testimonia la mia trentennale vita pubblica e parlamentare nella prima, nella seconda e spero anche nella terza Repubblica». De Magistris permettendo.

mercoledì 17 ottobre 2007

Aldo Pecora risponde a Calabria Ora, diretto dal misterioso Paolo Pollichieni

N.B. L'articolo è pubblicato sul sito di Ammazzateci tutti

di Aldo Pecora
domenica 14 ottobre 2007

Il direttore di Calabria Ora, Paolo Pollichieni. Comprereste un'auto usata da quest'uomo?Venghino siòri venghino! Mangiafuoco, tigri del Bengala, elefanti del Tibet, pagliacci, donne barbute e trampolieri: è il Gran Circo della malainformazione calabrese.
Come se non bastassero in Calabria la mafia, la malapolitica ed il malaffare, macchè. Ecco che i poteri forti lanciano la controffensiva, e lo fanno – ovviamente – schierando innanzi all'esercito del male quasi dei killer spietati, armati però non di lupara ma di penne (forse di quelle Montblanc, comprate dal Consiglio regionale per i suoi consiglieri pluri-inquisiti?) che scrivono, scrivono, scrivono. Che credono di saper scrivere, ma ti accorgi che non sanno (o non vogliono) neanche leggere. E' questo il più grave dei problemi di questa terra disgraziata.

Ci ho pensato a lungo prima di fare questo passo, perché so che è quello che certamente non risparmierà me, i miei amici e la mia famiglia da altre preoccupazioni. Ma devo farlo, e lo faccio in occasione della pubblicazione oggi in primo piano su “Calabria Ora” di una intera pagina, nella quale con titolone a nove colonne “Adesso finanziateci tutti” ci “accusano” di aver preso soldi da quello stesso consiglio regionale pluri-inquisito e per il quale da tempo chiediamo lo scioglimento.
Siamo davvero arrivati al paradosso. Quello stesso giornalista, che definirei giornalaio se non avessi paura di offendere gli edicolanti, che esordisce tacciando Ammazzatecitutti come “antipolitica in salsa calabrese” scrivendo egli stesso poi che quei soldi servivano a realizzare “Legalitàlia”, il meeting nazionale dei giovani antimafia da noi organizzato a Reggio Calabria dal 9 all'11 agosto scorsi in occasione del sedicesimo anniversario dell'uccisione del giudice Antonino Scopelliti e dell'apertura della fondazione a lui intitolata, ovviamente dimentica di specificare che il meeting ha avuto, accanto a quello del Comune di Reggio Calabria, anche i più alti patrocini istituzionali: dal Presidente della Repubblica a quello del Consiglio dei Ministri, al Ministero per le Politiche giovanili, alla stessa Giunta regionale (attenzione, dalla Giunta, non dal Consiglio...), unitamente all'apprezzamento ed al sostegno di don Luigi Ciotti e dell'associazione Libera ed all'affetto dimostratoci in quei giorni con la propria presenza dai migliori magistrati antimafia calabresi quali Salvatore Boemi, Nicola Gratteri, Vincenzo Macrì, e dall'allora meno noto Luigi De Magistris. Senza dimenticare l'eccezionale presenza di poliziotti e carabinieri in tutta la tre giorni, anche di quelli non in servizio o in ferie.

All'anima dell'antipolitica! Se questo vuol dire essere contro le Istituzioni, quasi peggio della mafia, allora i calabresi hanno di che ben sperare. Ma non voglio parlare di questo, almeno per ora. Non voglio neanche ragionare su soldi e quant'altro, lo farò più avanti, anche perché, statene certi, questa volta faremo con internet ciò che Peppino Impastato faceva con la sua radio.

Voglio approfittarne per aprire un'ampia e circostanziata parentesi sull'informazione, perché a questo punto sono davvero convinto del fatto che la 'ndrangheta calabrese ha di gran lunga superato per potenza e pervasività la mafia siciliana e la camorra campana.
E' chiaro: noi calabresi siamo più furbi, tremendamente e spietatamente più furbi: o riusciamo a comprare i giornalisti o ci facciamo direttamente i nostri giornali. E' quello che è successo ad un quotidiano calabrese, nato - guarda caso – all'indomani dell'omicidio Fortugno esordendo con slogan del tipo “quello che gli altri giornali non dicono”.
E così è stato, effettivamente. “Calabria Ora” sotto la direzione di Paride Leporace ha davvero esordito col botto nel panorama dell'informazione calabrese, a suon d'inchieste, pubblicazione di intercettazioni telefoniche, finanche subendo la perquisizione della propria redazione centrale ed il sequestro della famosa relazione d'accesso sulla Asl di Locri, quella stessa relazione che il Vice Ministro dell'Interno Marco Minniti (oggi candidato unico alla segreteria regionale calabrese del Partito Democratico) avrebbe voluto far leggere nelle scuole e che, invece, gli inquirenti hanno deciso di secretare.

Ad onor del vero anche il sottoscritto in prima persona, assieme ad altri ragazzi del Movimento, siamo stati osservati, ascoltati, pubblicati e promossi nelle nostre denunce da questo quotidiano calabrese, al quale certamente anche l'esclusività di tale rapporto di collaborazione ha contribuito notevolmente all'iniziale lancio e successo della nuova testata. Ma è durata poco. Nel nostro caso siamo stati, per così dire, "sedotti e abbandonati" da questo giornale che, ad un certo punto – guarda caso poco dopo la querelle con il diessino Presidente del Consiglio regionale della Calabria Giuseppe Bova – ha cominciato a cambiare linea editoriale fino anche al direttore, lo scorso marzo.



Oggi Calabria Ora è diretto da Paolo Pollichieni, quello stesso Pollichieni che qualche anno addietro (ai tempi capo redattore della Gazzetta del Sud di Reggio Calabria) fu arrestato e condannato in primo grado con l'accusa di associazione per delinquere e poi assolto in appello. Sappiamo anche che Pollichieni non ha mai avuto grande simpatia per Ammazzatecitutti, lo abbiamo toccato con mano all'indomani della manifestazione del 17 febbraio a Reggio Calabria, quando un cronista dell'Ansa calabrese ha diffuso “erroneamente” la notizia di “soli 500 partecipanti”, in barba agli oltre 20 pullman auto-finanziati arrivati a Reggio Calabria da mezza Italia e dello stesso dato della Questura che aveva stimato le presenze intorno a duemila ragazzi. Nonostante allora la nostra smentita riportata dalla stessa Ansa, con tanto di scuse, Pollichieni, assente alla manifestazione, ritenne per buono
solo il primo dato con evidente mala fede, e scrisse un editoriale che parlava di quella manifestazione antimafia come di un “flop” e titolando “l'antimafia torni una cosa seria”. Meno di un mese e Paolo Pollichieni diverrà il nuovo direttore di "Calabria Ora".

Sotto la sua direzione Calabria Ora si è guadagnata la fiducia del diessino pluri-inquisito vice Presidente della Giunta regionale della Calabria ed Assessore regionale al turismo Nicola Adamo, che ha affidato a Pollichieni un ruolo fondamentale per la comunicazione - supponiamo non a titolo gratuito - in quella obbrobriosa e controproducente campagna pubblicitaria della Regione Calabria firmata da Oliviero Toscani, costata non so quante centinaia di migliaia di euro ai contribuenti calabresi.

Gli italiani, non solo i calabresi, le sanno queste cose? Sarà mai un giornalismo super partes quello di Pollichieni e di Calabria Ora? Avete mai visto un giornale attaccare gratuitamente e ripetutamente un intero movimento antimafia ed “isolare” i suoi attivisti? Forse a questo livello non si è mai arrivati neanche in Sicilia ed in Campania. Lì i giornalisti erano contro la mafia, non contro l'antimafia.

Per fortuna che c'è chi ha ancora oggi il vizio della memoria. La prima vera ed ultima, purtroppo, “Ora” era quella coraggiosissima di Palermo, ed i suoi migliori giornalisti, scomodi giornalisti come Mauro De Mauro la mafia li ha ammazzati... uno aveva la mia età quando l'hanno ammazzato, si chiamava Giovanni Spampinato, collaborava anche con “L'Unità”. Sicuramente il giornalismo d'inchiesta siciliano era sano, vero ed eroico, e la prova ne sono purtroppo le uccisioni di cronisti scomodi quali Beppe Alfano, Pippo Fava, Mauro Rostagno, Mario Francese, Cosimo Di Cristina. E, spostandoci in terra di camorra, come dimenticare Giancarlo Siani, straordinaria penna de “Il Mattino” di Napoli.
Eccoli i miei punti di riferimento, i miei numi tutelari, quando penso oggi al putridume che sta intorno a certi pseudo-giornalisti calabresi.

Per carità, fortunatamente l'informazione calabrese non si ferma a Paolo Pollichieni e Calabria Ora. C'è anche tanta altra stampa seria e coraggiosa in Calabria, ed è l'unica cosa che tiene viva in me ed i miei amici la tenue fiammella della speranza che anima le nostre lotte per la legalità e per la liberazione della nostra regione: in Calabria, per fortuna, ci sono anche i giornalisti (di molte altre testate serie) che non sono contro l'antimafia.
Mi rivolgo allora proprio ai giornalisti di tutta Italia, ai loro sindacati, alle associazioni di categoria, agli editori: siete voi che detenete l'unico passpartout in grado di sconfiggere ogni mafia e potere occulto. I vostri occhi, le vostre orecchie, le vostre bocche, le vostre penne sono l'unico antidoto contro un nemico fatto non solo di omertà e silenzi, ma anche, purtroppo, delle necessarie connivenze e coperture non solo Istituzionali ma anche mediatiche.

Ecco perché ho deciso di mettere in rete questo lungo ragionamento, che è solo il primo di una lunga serie: perché è giusto che su molte cose si conoscano i fatti e le persone, soprattutto prima di acquistare certi giornali, o dare credito a ciò che dicono. E metterò tutto su Internet, lontano dalle censure e dai taglia e cuci giornalistici di tutte le Caste (o Cosche, che dir si voglia). Come metteremo certamente on line, per tacitare questi immondi latrati, il bilancio trasparentissimo delle entrate e delle uscite per l'organizzazione di "Legalitàlia", per il quale siamo tutt'ora indebitati fino al collo, chiedendo contestualmente che si faccia la stessa cosa con il bilancio di Calabria Ora e sfidando a fare parimenti anche il suo direttore Pollichieni, con la sua dischiarazione dei redditi, altrimenti lo faremo noi.

Una cosa, però, mi chiedo e vi chiedo a questo punto: alla luce di tutto ciò che ho scritto, del quale questo è solo “l'aperitivo” e che sono in grado ovviamente di documentare parola per parola, secondo voi Beppe Alfano e Giancarlo Siani scriverebbero mai per "Calabria Ora"?

Aldo Pecora

Su Repubblica, Alberto Custodero ha definito "La società sparente" il manifesto politico dei giovani calabresi in lotta contro la 'ndrangheta

ROMA (La Repubblica, 9 ottobre 2007, pag. 4) - Nel giorno in cui la sezione disciplinare del Csm ha rinviato al 17 dicembre la decisione sul trasferimento del pm di Catanzaro Luigi De Magistris e del suo capo Mariano Lombardi, continua la polemica sull´allarme terrorismo lanciato da New York da Clemente Mastella. La dichiarazione del ministro della Giustizia ribadita ieri con un «non ci faremo processare sulle piazze», ha suscitato reazioni e critiche bipartisan. Da destra e da sinistra sono arrivati inviti al Guardasigilli di riferire in Parlamento. A prendere le distanze dal ministro, il presidente della Camera, Fausto Bertinotti, secondo il quale «non c´è mai una determinazione meccanica tra una condizione sociale, economica, religiosa, un disagio, una sofferenza, e il terrorismo». Paolo Cento, dei Verdi, sottosegretario all´Economia, attacca frontalmente il Guardasigilli («Mastella sbaglia ad evocare il fantasma del terrorismo»), mentre il vicepremier Francesco Rutelli frena: «Andiamoci piano - dice - usiamo le parole con parsimonia». Proteste anche dall´opposizione. Alfredo Mantovano, di An, membro del Copaco, ritiene che «messaggi estemporanei e sommari, come quelli lanciati da New York dal ministro Mastella, non aiutino e generino soltanto confusione». È slittato, intanto, al 17 dicembre l´esito dello scontro tra il ministro della Giustizia (che ne ha chiesto al Csm il trasferimento per «incompatibilità ambientale»), e Luigi De Magistris. Il sostituto procuratore di Catanzaro, all´uscita dal Csm, è stato accolto da applausi e da slogan da stadio («De Magistris non mollare»), da una folla di sostenitori giunti da tutta Italia, non solo dalla Calabria, ma anche da Padova e Verona. «Sono tranquillo - ha commentato Luigi De Magistris - e sereno. Ho letto le ultime contestazioni e confermo: sono assolutamente convinto di dimostrare la correttezza del mio operato punto su punto». «Per questo - ha aggiunto - non posso che continuare a lavorare. Il consiglio deciderà autonomamente, garante dell´autonomia e dell´indipendenza della magistratura». Il suo superiore, il procuratore capo Mariano Lombardi, non era presente per motivi di salute. Per lui, un eventuale trasferimento a dicembre avrà un valore poco più che simbolico, poiché - come ha fatto notare il suo difensore, Fausto Zuccarelli - «a febbraio decadrà naturalmente dal suo incarico che ricopre da più di otto anni». Per tutta la mattinata, in piazza Indipendenza, davanti alla sede del Csm, s´è svolto un sit-in dei sostenitori di De Magistris. C´era Sonia Alfano, figlia del giornalista Beppe, ucciso dalla mafia. C´erano i ragazzi del meet up di Beppe Grillo di Roma e quelli di Locri del comitato «ammazzateci tutti» con uno striscione «e adesso trasferiteci tutti». Ed erano presenti Emiliano Morrone e Francesco Alessio, autori del libro sulla Calabria «La società sparente» (evocazione del testo del filosofo Gianni Vattimo «La società trasparente»), diventato il manifesto politico dei ragazzi calabresi in lotta contro la 'ndrangheta.

ALBERTO CUSTODERO

La società sparente alla Fiera del Libro di Francoforte


“I know this book won’t be a bestseller, but if it touches just one person then it will have been worth it,’ said Giancarlo Trepans, at the Forum Dialog this afternoon to launch the ‘Writer’s Under Attack’ publishing programme by the two-year-old Italian publishing house Neftasia Editore.

Trepans is the author of the novel ‘How Long Since,’ one of the first titles published in the series. The novel depicts an encounter between a priest - one who has devoted his life to saving exploited children in places like Sierra Leone and Chechnya - and a journalist who wishes to record the stories.

Neftasia publisher Stefania Campanelli said the series will focus on publishing the works of writers who have been persecuted, censored or exiled. One book will be published in the series each month and a total of 15 titles is already planned. Campanelli is seeking a partner to publish and distribute the books in English.

Musa Mutaev, a Chechen writer who lives in exile in Norway, presented a short reading from his new collection of short stories ‘The Green Sun,’ also among the first titles to be launched. Also among the first four title are ‘I Am Guilty,’ a collection of essays by the Bangladeshi writer Salah Uddin Shoaib Choudhury and an anti-mafia tract by Italian journalists Emiliano Morrone and Francesco Saverio Alessio entitled The Disappearing Society.

Dr. Johano Strasser, president of PEN Germany, remarked that the ‘Writers Under Attack’ series is likely help raise awareness of the persecution of writers beyond the obvious countries - China, Cuba, Iran, Eritrea and Myanmar. ‘This, in itself, makes the project a worthy thing to do,’ said Strasser.

Neftasia is already helping to instigate change: The publisher has convinced its hometown of has to join the International Cities of Refuge Network (ICORN) which offers a safe have to writers in exile.

venerdì 12 ottobre 2007

Le Contrarie in Calabria: il Comitato pro De Magistris contro le primarie del Pd nella regione del triangolo 'ndrangheta-massoneria-politica


Il 14 ottobre, a San Giovanni in Fiore (Cs), il “Comitato pro De Magistris” (http://www.perlacalabria.it/8ottobre) terrà le Contrarie, un’iniziativa pubblica per la difesa della legalità in Calabria, con la partecipazione di movimenti, associazioni e cittadini coesi intorno al movimento antimafia “Ammazzateci tutti”. La manifestazione è stata da subito caratterizzata da un atteggiamento chiaramente ostativo da parte del municipio di San Giovanni in Fiore, che ha impedito che il raduno dei manifestanti proseguisse fino a sera su corso Roma, il luogo più frequentato dai giovani, rilevando l’esistenza di ragioni di ordine pubblico.

Le Contrarie, che coincidono con le elezioni primarie del Partito Democratico, sono previste a partire dalle 9,30 del mattino, su Corso Roma, nei pressi della “Vittoria alata”, fino alle 13.

Dalle 17 alle 21, il Comitato si sposterà nella piazza davanti al comando dei Vigili urbani, sotto il municipio.

Saranno presenti, tra gli altri, Rosanna Scopelliti, figlia del giudice Antonio Scopelliti, ucciso quando stava preparando la richiesta di rigetto dei ricorsi per cassazione di pericolosi esponenti mafiosi, Aldo Pecora, leader di “Ammazzateci tutti”, Emiliano Morrone e Francesco Saverio Alessio, autori del libro “La società sparente”, che racconta, con la prefazione del filosofo Gianni Vattimo, i rapporti fra ’ndrangheta e politica in Calabria. Insieme agli altri membri del “Comitato pro De Magistris”, testimonieranno la necessità di assicurare il rispetto della Costituzione, in una terra segnata dalla morte di Fortugno, dalla presenza di numerosi indagati nell’assemblea legislativa regionale e dalla pervasività della ’ndrangheta, di cui la strage di Duisburg rimane simbolo che non può dimenticarsi.

San Giovanni in Fiore è capitale dell’emigrazione e, secondo il quotidiano il Corriere della sera, che fece un’inchiesta pubblicata sul numero del 10 maggio 2004, della degenerazione etica del Mezzogiorno. Entrambi i processi sono alimentati da una gestione spesso personalistica della cosa pubblica; quello stesso atteggiamento che gran parte dell’opinione pubblica, condividendo le inchieste di De Magistris, oggi non riesce più a sopportare.

Così, il Comitato ha scelto di manifestare a San Giovanni in Fiore, a ridosso del 16 ottobre, data dell’omicidio di Fortugno.

Aldo Pecora, fra gli animatori dell’iniziativa, spiega: «Noi non siamo contro il Partito Democratico, avendo scelto chiaramente di rimanere al di fuori dei giochi dei partiti. Ma ci opponiamo a quanto sta avvenendo in Calabria, a proposito di questo partito. Ci sembra che l’annunciato cambiamento della nuova formazione politica non stia iniziando dal basso, come dovrebbe essere secondo le istanze della società civile italiana. Ci pare che nella nostra regione si stia perpetuando lo stesso novero di personaggi del passato, sui quali manca la certezza di una condotta trasparente e pubblica».

Secondo Pecora, «la manifestazione a San Giovanni in Fiore è la riprova che il “Comitato pro De Magistris” non vuole abbassare la guardia e, al contrario, intende andare avanti a sensibilizzare i cittadini perché, a partire dalla Calabria, ci sia la più alta vigilanza sull’amministrazione della giustizia, sulla scelta delle rappresentanze e sull’effettivo riconoscimento dei diritti sanciti dalla Costituzione».

Il “Comitato pro De Magistris” si chiede se la mancata concessione della sala consiliare e di altri spazi proposti al Comune, come il rifiuto della fornitura di corrente elettrica, non sia forse dettata dall’esigenza di salvaguardare le primarie dall’effetto di una manifestazione, pacifica e civile, che intende ragionare sul pericolo che le elezioni del Partito Democratico si traducano nella conferma di vecchi signori del clientelismo, attaccati al potere come i frutti di mare al loro guscio.

Roma, 12 ottobre 2007

Il Comitato pro De Magistris

La notizia è anche su Adnkronos. Cliccando sul link attivo, la si può leggere.

giovedì 11 ottobre 2007

La società sparente su Nazione Indiana


Del libro La società sparente (Neftasia, Pesaro, 2007), di Emiliano Morrone e Francesco Saverio Alessio, parla anche Nazione Indiana, fondamentale organo di emancipazione da sempre impegnato nella lotta alla criminalità organizzata e nella sensibilizzazione delle coscienze contro le subordinazioni.

Aperta la pagina, cliccando aul link in evidenza, si può leggere il servizio su Nazione Indiana.

mercoledì 10 ottobre 2007

La prefazione di "La società sparente" - di Gianni Vattimo


Prefazione

Nel gennaio del 2005, Emiliano Morrone mi spedì per e-mail una lettera aperta pubblicata sul suo giornale, «la Voce di Fiore». Con questa, appoggiato da giovani, mi proponeva come candidato sindaco nella città di Gioacchino da Fiore, dove nel 2004 ero stato per un congresso internazionale sull’abate.
Con qualche perplessità, accettai, certo che non avremmo vinto ma che un po’ di movimento avrebbe aperto degli spazi politici.
Soprattutto, mi intrigava il progetto, costruito dal basso e da giovani – non tutti. Mi appassionai sempre di più in campagna elettorale, nonostante un primo scetticismo dovuto all’esperienza.

Mio padre era calabrese, di Cetraro, dove io stesso ho passato gli anni della guerra, restando segnato dal dialetto e dalle amicizie di là. Parlamentare europeo, la politica dei partiti e l’evoluzione del sistema italiano mi avevano fornito un’idea precisa dei contenuti e delle possibilità in gioco, sotto elezioni e dopo.

Avevo avuto modo di confrontarmi con questo gruppo di giovani: li conoscevo, non rappresentavano un partito, si lasciavano guidare dalla passione, dai loro «eroici furori». Finito il mio intervento al congresso gioachimita, c’eravamo incontrati per parlare di «filosofia ed emancipazione». C’era anche un prete missionario, don Battista Cimino. Eravamo in un salone dei padri francescani, i ragazzi reattivi, attivi e decisi. Mi sembrava che ci fosse un terreno buono per seminare qualche speranza concreta.

In Dopo la cristianità. Per un cristianesimo non religioso, avevo parlato a lungo di Gioacchino da Fiore, affascinato dalla «sua idea del carattere essenzialmente storico della salvezza».
I miei sostenitori raccontavano del degrado della sua città, San Giovanni in Fiore. Facevano analisi puntuali e interessanti. Era un gruppo robusto: cognizione, acume, coraggio, chiarezza. Non riuscivano a sopportare le politiche clientelari e le logiche mafiose della zona. Erano coscienti. Mi spiegarono che alcuni «traffici» locali avevano a che fare con importanti decisioni a livello regionale. Definirono San Giovanni in Fiore – oasi di assistiti dallo Stato e «fabbrica di emigranti» – come «riserva di consensi elettorali decisivi».

Tra di loro, Emiliano Morrone e Francesco Saverio Alessio avevano raccolto dati e indizi su numerose anomalie e irregolarità nel posto. Tramite internet, i due avevano iniziato una battaglia per l’emancipazione dei residenti, con una serie di basi teoriche non banali. Si riferivano al «pensiero debole» e, con vari collegamenti all’opera di Gioacchino, mi consideravano una figura idonea a promuovere con loro una trasformazione culturale della società del luogo.

Con don Cimino, avevano sviluppato un discorso, anche teorico, sullo sfruttamento dei paesi poveri in condizioni di minorità, mettendo in mezzo Teologia della Liberazione, Hans Jonas, Robert Young e altri. Su «la Voce di Fiore» avevano approfondito intervistando il collega Alfonso Maurizio Iacono, molto attento al tema dell’«uscita dalla minorità». Insomma, avevano provato a isolare le ragioni del successo della Ndrangheta nel territorio, tentandone una lettura d’insieme.

Oltretutto, avevano concepito l’alternativa, radicale. Suggestionati dall’utopia della giustizia di Gioacchino, da tempo teorizzavano il superamento dell’immobilismo locale con la creatività, la poesia e il culto della bellezza. Morrone e Alessio avevano studiato, in particolare, le cause dell’emigrazione di oggi, rapportandole a quelle del passato. Si erano basati su alcuni scritti di testimoni diretti della diaspora, lo psichiatra Salvatore Inglese e la scrittrice Anna Paletta Zurzolo. Il primo ne aveva descritto gli effetti sulla psiche dei residenti, spezzati i legami affettivi coi parenti emigrati. La Paletta Zurzolo aveva narrato della sua infanzia a San Giovanni in Fiore, vista da adulta canadese.

Morrone e Alessio avevano quindi ripreso la materia, con la tendenza a recuperare – ma non in senso identitaristico – il patrimonio culturale della tradizione. Sgretolato, come i significati storici e politici dell’emigrazione, da una classe politica autoreferenziale e molto spesso cinica.
Con pochi mezzi, grazie alla rete e a un forte senso critico, avevano divulgato le loro ricostruzioni – antropologiche, sociologiche e filosofico-politiche – della situazione locale, del «dominio mafioso delle coscienze». Erano riusciti a creare dei link con il contesto globale, utilizzando internet come veicolo di denuncia e cassa di risonanza.
A San Giovanni in Fiore tutto è sorprendentemente tranquillo. Rispetto alle immagini di sangue della Ndrangheta, c’è in apparenza solo una desolante immobilità. I rapporti professionali sono condizionati dall’amicizia – che non ha affinità con quella di Cicerone nel Laelius De amicitia.

Nell’amministrazione pubblica, i sistemi della diretta conoscenza e della consegna brevi manu costituiscono la regola. C’è sempre un rapporto personale fra Stato e cittadino, Stato e utente. In un ambiente così piccolo e marginale, un osservatore esterno potrebbe concludere che non ci sono fatti di interesse generale.

Nella mia breve esperienza a San Giovanni in Fiore, ho verificato che anche – e proprio – sull’espressione del voto c’è stretta vigilanza, imposizione. Esiste il modo di obbligare l’elettore a votare un particolare candidato. È un fatto di minacce sottili, difficili da dimostrare, di favori, diritti concessi per intercessione.

La mia vicenda politica a San Giovanni in Fiore servì a riprendere gli animi di tanti, stanchi di subire, e non si esaurì nella sconfitta elettorale.

Questo saggio di Emiliano Morrone e Francesco Saverio Alessio, dal curioso titolo La società sparente, evocazione del mio testo La società trasparente, nasce dalla stessa esigenza che li portò a costruire quei link di cui ho scritto sopra.

Assieme, hanno a lungo sperimentato la potenza di internet, di cui si sono largamente serviti allo scopo di creare spazi culturali e politici per l’emancipazione dalla Ndrangheta.
Per entrambi, l’«onorata società», come chiamano l’organizzazione mafiosa calabrese, non è solo una struttura – o uno Stato – che si muove contro la legge, sostituendola con la volontà di una “cupola”. La Ndrangheta è, secondo Morrone e Alessio, un modo di pensare e agire, un atteggiamento proprio del calabrese, che la proietta come una sorta di mito, di ierofania.

Il loro libro è un viaggio all’interno dei complessi meccanismi della politica locale, causa della facile e continua espansione della Ndrangheta. È un racconto di fuga dalla terra d’origine.
Morrone, giornalista, è scappato dalla Calabria con la speranza di riuscire, da fuori, a raffinare l’indagine sui rapporti fra politica e Ndrangheta limitandone la carica oncogena.
Alessio aveva adottato una strana forma di fuga, prima di andarsene definitivamente in Germania. Viveva in rete, pur abitando a San Giovanni in Fiore, isolato da tutti. A riguardo, c’è un suo articolo, molto intenso, in parte inserito nel presente volume. Si intitola Per un’ermeneutica del web. Un’escatologia florense contemporanea. In questo scritto, Alessio rende conto dell’isolamento personale, subìto e voluto a un tempo. E parla della rivoluzione rappresentata da internet, tanto per la propria sopravvivenza, quanto per la battaglia politica intrapresa, finalizzata all’emancipazione collettiva.

Al centro de La società sparente è il fenomeno migratorio, tipico del Mezzogiorno, addebitato dagli autori a un preciso progetto politico, reperibile nella storia di San Giovanni in Fiore e della Calabria. In altri termini, l’emigrazione è qui considerata anche come soluzione per la difesa della (propria) libertà di opinione e della dignità personale. Se la ripartizione delle terre in Sila, l’autonomia dei contadini e l’occupazione delle masse furono la giusta meta dell’azione dei partiti, a un certo punto i loro ideali di sostegno della povertà e delle famiglie si usarono strumentalmente per la scellerata propagazione d’un assistenzialismo devastante. La fuga dalla propria terra, la fuga dalla Calabria, non ha impedito agli autori la prosecuzione della loro impresa, spesso vissuta come missione.
Nel libro, la retorica è accuratamente cassata, a vantaggio d’una coraggiosa esposizione, che, oltre a contenere nomi e vicende legati al malaffare calabrese, ne è una spiegazione causale. Il punto di vista di Emiliano Morrone e Francesco Saverio Alessio non è viziato dal bisogno di dimostrare qualcosa. Non ha, cioè, quelle finalità politiche di certa informazione nazionale.
Il loro lavoro si pone, quindi, come riferimento per una rilettura dell’emigrazione calabrese e meridionale. La Calabria, nonostante il progresso economico e i soldi ricevuti dall’Unione Europea, si sta spopolando paurosamente. Oggi, come ieri, l’emigrazione produce il vuoto politico. Dunque, l’auspicio è che, anche grazie al dibattito e ai collegamenti su internet, sia proprio un rientro generale, dopo la «fuga», a produrre un’azione, effettiva ed efficace, contro la Ndrangheta.
Gianni Vattimo

martedì 9 ottobre 2007

Il Mastella, il potere, la giustizia e la fame (di giustizia)


«Il corso delle cose è sinuoso». Si sente spesso in giro. Ieri sera, in diretta dagli States, il ministro della Giustizia Mastella ha parlato del «corso delle cose». S’è detto «buono» e «bonaccione». E ha provato a farlo. Occhi lucidi, testa un po’ bassa, faccia da pacioccone, voce come al catechismo.


Il collega Padoa Schioppa, invece, ha dichiarato che le tasse sono belle e i «bamboccioni» devono smammare.
Anche De Andrè, in una celebre canzone, usava al singolare lo stesso termine, onomatopeico, preceduto da «micio bello».
C’è bisogno di conforto e rassicurazione, nell’Italia del precariato e dell’antitesi.

(In questo articolo, scritto in modalità web, si ragiona sul recente show di Clemente Mastella da Bruno Vespa. Cliccando sul link, si può leggere il testo in versione integrale, pubblicato su Ammazzateci tutti).

Il coperchio saltato - di Ida Dominijanni


Il coperchio saltato

di Ida Dominijanni (il manifesto, 09 ottobre 2007)

In un posto come l’Italia, che ha il passato che ha, azionare la maniglia dell’allarme terrorismo è una tattica di manipolazione emotiva facile e rischiosa, che un ministro della Repubblica dovrebbe guardarsi bene dall’usare, se non dati alla mano e strategie di contrasto in tasca. Clemente Mastella non solo la usa senza dati e senza strategie di contrasto, ma la tira fuori in un posto come New York, che quanto a terrorismo vive il presente che vive, e paragonandosi a Aldo Moro, che il senso delle proporzioni gli dovrebbe sconsigliare di scomodare. Ma Clemente Mastella il senso delle proporzioni l’ha perduto da un pezzo, a giudicare dalle sue scomposte movenze sul caso De Magistris, anzi De Magistris-Santoro. Movenze-boomerang, visto che il Csm, inondato dalle troppe «incolpazioni» ministeriali, non ha potuto che rinviare il giudizio sul magistrato, con ciò stesso smentendo l’«urgenza» del suo trasferimento invocata dal guardasigilli. Urgente resta invece il caso Calabria che il caso De Magistris ha scoperchiato, e che scoperchiato resta quali che siano - speriamo l’opposto dei desiderata di Mastella - i destini del magistrato. Il guardasigilli non è solo a voler richiudere in fretta quei coperchi: militano con lui due governi, quello nazionale e quello regionale, e quella larga parte dell’informazione, nazionale e regionale, stampata e televisiva, che a sua volta milita per loro. E’ una militanza cieca e sorda, per almeno tre ragioni.

Primo. Il ceto politico di centrosinistra farebbe bene a guardare quello che sta accadendo in Calabria e altrove deponendo lo schema politica-antipolitica e i fantasmi del ’92, e aguzzando la vista sul presente. Di antipolitico, nelle piazze di Catanzaro come in quelle di Bologna, non c’è proprio niente. Fatti salvi i resti di qualunquismo, che fanno parte del dna nazionale, di ingenuità, che fanno parte del dna giovanile, e di rozzezza alla vaffa, il messaggio è evidente: è una domanda di politica diversa, più trasparente, più giusta, più efficiente, più vicina. L’obiettivo non è far fuori la politica: è far sì che politica e affari non siano sinonimi, e nemmeno classe politica e casta, o risorse pubbliche e fortune private, o potere politic+o e controllo del mercato del lavoro, o potere amministrativo e devastazione ambientale. C’è una soglia, questo dice la vituperata piazza, oltre la quale questi sinonimi non sono più tollerabili. Il governo di centrosinistra, nazionale e regionale, non ha nulla da chiedersi, se non da rimproverarsi, a questo proposito? Entrambi dicono di voler rispondere con i fatti e le opere. E’ un ottimo proponimento, purché i fatti e le opere seguano davvero: tra i fatti rientrando, ad esempio, un processo di autocritica e autoripulitura del ceto politico. E’ quando non scattano questi processi politici che scattano i processi giudiziari, nonché i processi di piazza, e a quel punto c’è poco da lamentarsi.

Secondo. Per ragioni evidenti e note, in Calabria una domanda di politica più trasparente, più giusta, più efficiente e più vicina coincide con una domanda di legalità. Nessuno potrebbe onestamente sostenere che quello della legalità sia un problema inesistente; ma nessuno potrebbe onestamente sostenere che sia tutto in carico a questo o quel magistrato, e al solito derby fra ceto politico e procure. La legalità, in uno stato di diritto, è fatta di molti elementi. Dell’esercizio delle libertà fondamentali, tanto per cominciare, che nelle regioni ad alto tasso di criminalità non è affatto scontato. E di un insieme di procedure, che non passano per le aule di giustizia. Prima di lanciarsi nell’ennesimo tentativo di riforma costituzionale, il centrosinistra di governo farebbe bene a fare il punto delle riforme già attuate: disfatto lo stato nazionale e fatto lo stato federale, chi fa che cosa, e chi controlla chi? Competenze, procedure, verifiche sull’uso delle risorse: davvero non c’è niente da mettere a regime? E perché - ripetiamo una domanda già fatta da queste colonne - le ispezioni sulle procure scattano, e quelle sui depuratori no?

Terzo. Come lo stato di diritto, anche il garantismo è fatto di molti elementi, ma è tipico del dibattito italiano degli ultimi quindici anni, a destra e a sinistra, dimenticarsene sempre qualcuno. Il garantismo prevede che la magistratura eserciti il controllo di legalità sul ceto politico, osservando a sua volta la legalità nelle procedure d’indagine. Accadeva a sinistra quindici anni orsono, quando c’era da processare il pentapartito della prima Repubblica, che l’accento cadesse spesso e volentieri sul controllo di legalità e meno spesso e volentieri sulla correttezza delle procedure, anche quando c’era di mezzo qualche manetta di troppo. Accade adesso, sulle inchieste di De Magistris che riguardano il centrosinistra della seconda Repubblica, che l’accento cada sempre sulla correttezza delle procedure e mai sul controllo di legalità. C’è chi, sul Foglio di ieri, ha definito questa inversione «una nemesi farsesca». Non arriveremo a tanto, ma solo perché non c’è niente da ridere.

lunedì 8 ottobre 2007

Il 17/12 il Csm decide su De Magistris. Avanti le firme e a Roma grande manifestazione a dicembre. Lo annuncia Aldo Pecora


Il sit-in a Roma del Comitato pro De Magistris davanti al Consiglio superiore della Magistratura si è concluso alle 13,30 dell’otto ottobre con un intervento in Piazza Esedra di Aldo Pecora, portavoce del movimento antimafia “Ammazzateci tutti”, Sonia Alfano, figlia del giornalista Beppe Alfano, ucciso da Cosa Nostra nel 1993, e di Emiliano Morrone, giornalista e autore, insieme a Francesco Saverio Alessio, del libro “La società sparente”, sui rapporti fra ’ndrangheta e politica in Calabria.

Con una straordinaria partecipazione di giovani, movimenti e associazioni provenienti da tutta l’Italia e con la fattiva collaborazione del gruppo romano di Beppe Grillo, il Comitato si è ritrovato in Piazza dell’Indipendenza alle 9,30 del mattino. Da subito, una serie di annunci a favore della legalità in Calabria e in Italia da parte di Aldo Pecora, seguito da Francesco Precenzano, presidente dell’associazione “Gens” di Cosenza, e da giovani studenti e lavoratori venuti apposta dal Veneto, dalla Lombardia, dalla Campania e dalla stessa Calabria. Adesso, le firme raccolte contro il trasferimento del giudice De Magistris, titolare a Catanzaro dell’inchiesta Why not, nella quale, fra l’altro, è indagato il presidente del Consiglio dei Ministri con importanti politici e rappresentanti istituzionali, sono oltre 90 mila. Nei pressi di Piazza dell’Indipendenza, mobilitazione generale per la raccolta di ulteriori firme, durante tutto lo svolgimento del sit-in.

Molti passanti si sono uniti alla manifestazione e hanno aderito al Comitato, dimostrando che la questione etica è centrale in Italia e che la politica non può ignorare le reazioni dei cittadini, i quali ormai non si fidano delle rappresentanze. Il Comitato pro De Magistris ha espresso fin dall’inizio grande fiducia verso il Consiglio Superiore della Magistratura, ribadita più volte nei ripetuti interventi di Aldo Pecora.

I tanti giovani presenti hanno espresso solidarietà verso il giudice, considerandolo “il difensore dei cittadini onesti e della legalità perduta nella nazione”.
La manifestazione, svoltasi con grande civiltà e senso di responsabilità, ha dimostrato soprattutto l’attaccamento delle nuove generazioni ai valori e ai princìpi della Costituzione.

Verso mezzogiorno, è arrivata la notizia del rinvio al 17 dicembre della decisione del Csm sul trasferimento di De Magistris, che, uscito dal palazzo del Consiglio Superiore della Magistratura, ha ricevuto un’ovazione del Comitato, segno che forse certa magistratura sta supplendo molto bene la componente politica. Secondo i giovani manifestanti, “in una fase di precarietà nel lavoro e di incertezza generale, è fondamentale che si recuperi la trasparenza amministrativa e che la giustizia sia effettiva, concreta”.

Emiliano Morrone ha ribadito, rivolgendosi al Presidente della Repubblica, “garante per eccellenza”, che “non possono esserci squilibri nell’ambito dei poteri dello Stato e che solo se è assicurata la legalità il Sud può sperare di non sparire”.

Sonia Alfano ha testimoniato in prima persona la sua vicenda di figlia d’un giornalista antimafia ucciso per il suo coraggio e rispetto alla cui morte non c’è ancora giustizia. Ancora, la Alfano ha raccontato della “leggerezza” di Mastella, testimone di nozze di un mafioso, poi pentito.

Aldo Pecora s’è dichiarato soddisfatto, insieme a tutto il Comitato, per la scelta di rinviare al 17 dicembre la decisione sul trasferimento di De Magistris. “Continuerà a tutto campo – ha ribadito Pecora – il nostro impegno per sostenere il giudice, cui deve essere permesso di ultimare l’inchiesta Why not; organizzeremo a Roma una grande manifestazione in dicembre, raccogliendo anche un milione di firme per impedire che De Magistris venga spostato da Catanzaro”.

Francesco Precenzano ha sottolineato che “ciò che sta ora avvenendo in Calabria potrebbe avvenire nel resto dell’Italia e che solo una convinta reazione collettiva all’abuso di potere può assicurare una sana ingegneria sociale”. L’appuntamento, quindi, è per la metà di dicembre, dove a Roma si ritroverà nuovamente il popolo di Internet, dei giovani e dei movimenti, per chiedere allo Stato di vigilare sul futuro della giustizia.

Roma, 8 ottobre 2007

Il Comitato pro De Magistris

domenica 7 ottobre 2007

Tutti in Piazza Indipendenza, a Roma, per consegnare le firme pro De Magistris al Csm


Domattina, tutti in Piazza Indipendenza, a Roma, a partire dalle 8,30. Ammazzateci tutti e tantissimi movimenti di giovani che lottano per la legalità in Calabria si ritroveranno per consegnare al Consiglio superiore della Magistratura le firme contro il trasferimento dalla Procura di Catanzaro del giudice Luigi De Magistris, titolare, tra l’altro, dell’inchiesta Why not, nella quale sono indagati politici importanti della Calabria e personaggi di spicco delle istituzioni dello Stato.

Il giornale "la Voce di Fiore" e "La società sparente" aderiscono all’iniziativa. Saremo presenti con nostri rappresentanti.

Esortiamo a partecipare quanti non vogliono che la Calabria rimanga nelle mani di poteri oscuri.

Roma, 7 ottobre 2007

Per ulteriori informazioni, si può andare su un sito dedicato, il cui link è attivo.

8 ottobre per la Calabria

sabato 6 ottobre 2007

Gianni Vattimo, Emiliano Morrone e Saverio Alessio insieme ai ragazzi di Locri e al giudice De Magistris. "Fiducia nel Csm"


Roma, 5 ott. (Ign) - ''Bisognerebbe che i ragazzi di Locri si riproduccessero. Sono simpaticissimi, sono conteneto che esistano. E sto al loro fianco''. Così il filosofo Gianni Vattimo parla con Ign, testata on line del Gruppo Adnkronos, dell'emergenza criminalità in Calabria, all'indomani della trasmissione 'Annozero' dedicata al caso del pm De Magistris.

‘’I giovani di Locri ce la faranno se anche quelli che sono sul posto grideranno con loro, a una sola voce, chiedere una giustizia vera. Sulla nostra terra deve scoppiare la voglia di libertà, il riscatto deve nascere dal basso”, spiega da parte sua Emiliano Morrone , il giornalista e regista noto per le sue battaglie antimafia che insieme a Francesco Saverio Alessio ha pubblicato un libro sulla Calabria che caccia e che fugge: ‘La societa’ sparente’ (prefazione di Gianni Vattimo, Neftasia editore).

''Siamo con i ragazzi di Locri. Lunedì parteciperemo alla consegna delle firme che sono ormai diverse decine di migliaia'', spiega il responsabile del giornale on line ‘la voce di Fiore’, riferendosi alla protesta del movimento ‘E adesso ammazzateci tutti’ che l’8 ottobre, a Roma, di fronte alla sede del Csm, consegnerà all'organo di autogoverno dei magistrati le firme raccolte contro il trasferimento del sostituto procuratore di Catanzaro Luigi De Magistris, proposto dal Guadasigilli Clemente Mastella.

''Lo Stato - dice Morrone - venga a verificare sul campo che qui la Costituzione non viene applicata. La giustizia – che deve essere amministrata in nome del popolo – in Calabria in realtà è scandita dalla volontà di poteri forti.''.

E ancora sul magistrato autore delle inchieste 'Poseidone' e 'Why not', spiega: ‘’Se De Magistris verrà trasferito, la Calabria buona quella dei giovani – perderà definitivamente la possibilità di scoperchiare il tanto marcio che c’è. Il magistrato ha portato allo scoperto i rapporti tra mafia, politica e massoneria deviata, cosa che nessuno prima di lui aveva fatto''.

''Mi auguro - conclude Morrone - che il Csm tenga presente ciò che pensano di questo magistrato i cittadini onesti. Ci fidiamo di Palazzo dei Marescialli ma proprio al Csm diciamo: i giovani non vogliono essere delusi. Non lasceremo la Calabria al suo triste destino''.

giovedì 4 ottobre 2007

Annozero: stasera diretta da Catanzaro, tutti a seguire la voce dei giovani contro il trasferimento di De Magistris


Stasera ne vedremo delle belle. Anzi, rideremo come non mai. Ci sbellicheremo. Occorrerà munirci di vasetto a mano. E non mangiare cipolla di Tropea, diuretica. Forse piangeremo tanto, invece.

Sappiamo già. Come sanno al ministero di Mastella, in Commissione di vigilanza Rai e nei dove di baldanza prode. Non v’è pericolo di fraudolenza. Il problema è che non ci tratterremo. E il fatto è che conosciamo tutto anzitempo.

Non ci sarà Benigni, né Ferrara con le uova per i polli. Non si presenterà Cucullo, l’ex sindaco di Chieti. Vedere, per credere, su Youtube.

Non guarderemo l’intelligenza delle miss, il sorriso dopaminico di Mike, la compiacenza di Vespa, l’imbarazzo di Baudo, il ticchettìo della Hunziker, l’italico moralismo alla Beautiful né le ammiccanti statuine di Mammuccari.

All’Auditorium di Catanzaro, vanno in scena quelli di Santoro, diretta tv su Rai Due, Annozero. Ore 21 e dispari, salva l’annunciata censura preventiva. Assieme ai ragazzi di Locri, quelli veri. Non quelli ammaestrati e alimentati da San Bova, il presidentissimo del Consiglio regionale calabro. Inquisito sino ai denti: indagati d’ogni faccia, colore e candore. Lui, Bova, solo condannato dal Tar calabro per pennette e borsette natalizie, una barca di soldi bruciati.

Ma non è il "giuoco delle parti"; ché Pirandello avrebbe inventato altro, non immaginando la potenza della "casta" calabrese, coperta a modino da Roma.

Parlano i ragazzi di Internet, stasera. Quelli che non sopportano le manovre silenziose, più anomale della finanziaria. Dirà la voce della giustizia, che parte sì da "eroici furori" e non va derisa o spenta a ordini e ricatti.

Stasera tutti davanti allo schermo, a supportare anche con lo spirito Aldo Pecora e gli altri. Noi della Voce ci uniamo. Il caso è quello, stranoto, di De Magistris, il giudice che ha scoperchiato la mondezza calabra. Da cui esce il fetore d’un malaffare storico e cronico: politica-’ndrangheta-massoneria, la trinità che cucca gli ultimi grossi finanziamenti europei alla Calabria, ancora per poco Obiettivo 1.

Con Saverio Alessio lo abbiamo scritto in "La società sparente": urge coesione, la connessione delle forze, dei saperi e del coraggio. Se spostano De Magistris, perdiamo per sempre la possibilità che qualcuno possa seguirlo e che si confini lo Stato della ’ndrangheta.

Oggi, isolare i cattivi è un dovere di chi crede in una regione diversa. Ma se siamo solo emigrati a volerlo, non faremo che rumore nell’etere.

La rabbia dei residenti in Calabria deve uscire allo scoperto. Perché non è solo la minaccia della lupara a bloccare questa terra. C’entra soprattutto l’assistenzialismo smisurato e trasversale voluto da Roma.

Ci han detto che Ruotolo imiterà il canto di Mastella, appagato come Re Mida. Il potere logora chi lo detiene.

Roma, 4 ottobre 2007

Emiliano Morrone

martedì 2 ottobre 2007

Presentato a Roma "La società sparente"






Ieri, nella sala Pietro da Cortona del Campidoglio, è stato presentato a Roma il libro "La società sparente", di Emiliano Morrone e Francesco Saverio Alessio, edito da Neftasia (Pesaro, 2007).


Moderatrice Giorgia Basilico, oltre agli autori sono intervenuti l'editore, Stefania Campanelli, la giornalista Ida Dominijanni, del quotidiano "il manifesto", i deputati Angela Napoli e Franco Laratta, il filosofo Gianni Vattimo e Aldo Pecora, del movimento antimafia "Ammazzateci tutti".




Dopo l'introduzione di Stefania Campanelli, che ha parlato della collana "Autori vittime della penna" (il prossimo 12 ottobre alla Fiera del Libro di Francoforte la presentazione ufficiale), cui appartiene "La società sparente", l'onorevole Angela Napoli ha lodato la coraggiosa denuncia di Morrone e Alessio, calabresi d'origine, insistendo sul "grave pericolo per la vita civile in Calabria rappresentato dai legami fra politica, 'ndrangheta, imprenditoria e massoneria". Il collega Franco Laratta ha invece sottolineato "la necessità di misure che impediscano alla 'ndrangheta di determinare l'esito delle elezioni, specie dopo l'omicidio di Francesco Fortugno". La Napoli e Laratta hanno dato un bellissimo esempio, di là dagli schieramenti di appartenenza, di come deve coportarsi l'uomo politico, su cui pesano grandi responsabilità. Ida Dominijanni ha analizzato il libro, apprezzandolo per la freschezza con cui sono raccontate molte vicende sui rapporti fra 'ndrangheta e politica. Ha poi mosso tre critiche:

1) il fatto che, a suo avviso, il testo rimane nell'ambito della definizione della 'ndrangheta come crimine o mentalità diffusa;
2) sembrerebbero non esserci speranze per la Calabria, in cui, per la giornalista, qualcosa si muove, invece, per esempio nell'informazione;
3) la prospettiva adottata soffrirebbe di un'eccessivo attaccamento alla Calabria, caratteristica dei calabresi.

Gianni Vattimo ha ricordato la sua esperienza quale candidato sindaco a San Giovanni in Fiore, nel 2005, precisando, con ironia sottile, "il pericolo che gli autori si ritrovino in una condizione di pericoloso isolamento, dato il tema affrontato". In effetti, "La società sparente" parte proprio dalla quella battaglia politica a San Giovanni in Fiore, individuando nell'assistenzialismo a oltranza, trasversale, una delle cause dell'espansione della 'ndrangheta e dell'omertà diffusa in Calabria.


Francesco Saverio Alessio ha con durezza sostenuto che il malaffare calabrese è prodotto dalle sale del potere centrale a Roma.
Emiliano Morrone, ricordando l'appello di Roberto Saviano a "interessarsi delle propria terra", ha detto a chiare lettere che il libro descrive vicende tipiche di una Calabria distrutta e che gli organi di controllo dello Stato non "effettuano delle radiografie del voto, le quali servirebbero a mappare e comprendere la dilagante corruzione nel luogo, grazie a cui la 'ndrangheta può dovunque compiere affari colossali ed esecuzioni spettacolari".

Sala piena, giovani e rappresentanti di associazioni sono arrivati perfino da Firenze, dalla stessa Calabria, dalla Sardegna e dalla Campania. Molto toccante è stata la testimonianza di Aldo Pecora, leader di "Ammazzateci tutti". Il giovane ha silurato il ministro della Giustizia Clemente Mastella, che starebbe forzando, a suo dire, per l'immediato trasferimento di Luigi De Magistris, il sostituto procuratore della Repubblica di Catanzaro titolare di varie inchieste scottanti sul sistema di corruzione generalizzata in Calabria. Molto importante anche l'intervento di Francesco Precenzano, presidente dell'associazione "Gens" di Cosenza, che ha rafforzato il discorso di Pecora invitando a una riappropriazione collettiva del politico.

Precenzano, Pecora, Morrone e Alessio convengono sull'"utilità di Internet come mezzo di aggregazione e comunicazione per superare il silenzio, la paura e i tanti condizionamenti che impediscono una decisa opposizione delle coscienze all'azione genocida della 'ndrangheta, sostenuta da certa politica".
Movimento giovanile, aggregazione, rete, coraggio e letteratura contro chi vuole l’agonia della Calabria.

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