martedì 2 marzo 2010
sabato 28 novembre 2009
sabato 18 luglio 2009
Diretta incontro con Borsellino e Travaglio, ore 17,30 del 23/10/09
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mercoledì 24 giugno 2009
Contea di Ulùla, nello Stato estero della ’ndrangheta. Eletto Brachicefalo. I "deboli" non si inchinano
Questa sotto è una storia inventata, al cui cospetto anche il famoso libro che contiene il verso «arma virumque cano» appare rigorosa cronaca di eventi.
Il testo che segue, dedicato con stima all’amico e collega Paride "Il ciromista", può girare dappertutto. Divulghiamolo liberamente, sapendo che nessuno potrà mai querelarci, non essendoci riferimenti a luoghi e personaggi reali. In particolare, pubblicandolo sui blog impegnati, offriremo al lettore, qualunque sia la sua provenienza, degli spunti per la lotta alle mafie e al malaffare, che si possono vincere con la parola e la creatività. Vi chiediamo solo di far girare il più possibile questo scritto, convinti che ciò sia particolarmente utile. Anzitutto ad allargare la coscienza sulle priorità politiche.
Persino i peggiori cedono. L’eletto è di regola riverito, pure da chi, con ostinata opposizione, non l’ha portato e votato.
A volte, l’opportunismo è perfino naturale; c’entra Darwin. Conviene il mea culpa, bisogna dare l’impressione di pentirsi, come folgorati dal nuovo capo, la cui legge è impietosamente nei numeri.
E’ d’uopo fingere. Occorre recitare, imparare a strisciare come serpi, giacché inginocchiarsi è insufficiente e può svelare i veri intenti. Per un problema di postura, di colonna vertebrale, di scarso controllo dei muscoli facciali.
E’ assurdo avversare i cavalli di razza; è un gioco al massacro, illogico, inutile, rovinoso. E’ stupido farlo, se è verosimile che vincano. Ma è da pazzi seguitare, se questi, scelti dal popolo, prima entità metafisica, sono giunti al potere in tripudio. Salvo che, per ulteriore perversione, non si voglia attenderne l’investitura ufficiale, prima di cambiare i connotati.
Noi siamo più che peggiori, siamo "pessimi", "osceni", citando per Bene; irriverenti. Va detto, non abbiamo né capo né, soprattutto, coda. Per cui non possiamo abbassare questa appendice animale, pur volendo. La vita ci ha ridotti a cani da guardia, con le orecchie appuntite, rabbiosi, uno spoilerino all’osso sacro, forse minuscola antenna satellitare.
Dunque, consapevoli dei nostri limiti anatomici e cerebrali, diremmo pure biochimici, proseguiamo alla stregua di kamikaze; evitando la sottomissione di rito - ai margini per altri anni, in cui governerà Brachicefalo. Egli è l’eletto, l’Illuminato della Contea di Ulùla, luogo del possibile e dell’improbabile, nello Stato estero della ’ndrangheta. A scanso di equivoci, scriviamo Stato con la maiuscola per non significare "condizione".
Brachicefalo, personaggio di mera fantasia creato da penne di elettronico qualunquismo, ha passato il turno, battuto l’avversario a furor di popolo. Sicché sono iniziate le danze, come sempre: tir e uomini fumanti nelle strade di Mànnara, in cui la gente brama scure e Boia come fossero cibo. Tanto rumore e sudiciume, volantini, cartelli, striscioni e cartacce sparsi in terra. Passerà qualcuno a raccattarli, magari non pagato, e finiranno in una nuova, mirabolante discarica; un’idea di Brachicefalo, dominatore incontrastato, al di sopra della Cupola.
C’erano tutti alla festa della notte, la prima d’una lunga serie, sicuro l’esito dell’adunata. Tirapiedi e lustrascarpe, attacchini e piattole, fellatori e "lingue allenate a battere il tamburo". C’erano gli efebi e i gradassi, gli usurai e i crapuloni, i ruffiani e i prenditori, gli scribacchini e i pasticcieri, i venduti e gli ominicchi. C’era il meglio d’una minoranza rupestre, amante di obbrobbrio e sodomia. Sì, perché in tutta la nazione, da "Addah" a "Rio Tada", la filo-sofia è stata identica: schifare i cittadini per eleggere gli schifosi.
Così, per l’ultimo voto, nello Stivato dell’indecenza periodica s’è giusto pronunciata la minoranza; stando "alta sui naufragi", cioè in dissenso, la maggioranza degli aventi diritto.
Nelle altre contee dell’Itanta, è avvenuto uguale: i baroni sono andati a palazzo coi voti della minoranza, più considerata della maggioranza astenuta; evidentemente intollerante, stanca di promuovere il meno peggio.
E allora via all’agricoltura, ché crescano piselli e fave, con fanciulle a battere decreti e relazioni per semenza. Spazio ai giovani, che si occuperanno di sbucciare lupini in cambio di fiorini e fioretti.
S’apra lo zoo, con l’Ippopotamo nella melma, immune dal procombere, pio e smargiasso cogli operai; la Iena che, pingue, sghignazza spelacchiata; il Criceto che si rigira mentre i baffi lo precedono; l’Orso ludico incollato al videopoker; il Maremmano che, piegato, traduce il gregge; la Pantera che si distende; il Cinghialino che si sollazza, il Macaco che perpetua lo ieri.
Nelle more e nei lamponi, la ’ndrangheta si rafforza, i "casalesti" permangono costruttori in Contea e un Garofano aderisce alla Salta, la società dei balzi.
Brachicefalo, vecchio regista inamovibile e garante dell’altrui lavoro, si gode lo spettacolo; tronfio e camaleontico. Sarà il baluardo, stavolta, della legalità. Lui che la Contea l’ha affossata con elargizioni, oppressioni, afflizioni, speculazioni, abusi e trame perfetti.
"Ma noi no", non lo riveriamo. Pur "deboli", non lo faremo. A costo di crepare.
23 giugno 2009
Emiliano Morrone
Francesco Saverio Alessio
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venerdì 5 giugno 2009
lunedì 22 dicembre 2008
De Magistris, Saladino, Pittelli, Chiaravalloti, Santoro, Di Pietro, Travaglio, Masciari e "la Voce di Fiore": vincitori e vinti nell'Italia calabra
Giovedì scorso, il 18 dicembre a.D. 2008, Michele Santoro ha dedicato una puntata della sua Annozero alla vicenda delle inchieste sottratte a De Magistris, Poseidone e Why not. La terza sul magistrato più scomodo d’Italia, in un anno.
Come sapete, queste inchieste sono state trasformate in un mistero buffo e assieme tragico. Buffo per i vari rapporti d’amicizia e lavoro che risultano dai fatti: il procuratore capo di Catanzaro è amico e assistito dell’avvocato sotto inchiesta. Questi, poi, non è membro della sezione sportiva del club dei goliardi. Sta, invece, in commissione parlamentare Giustizia ed è il riferimento del partito di Berlusconi in Calabria. Mistero tragico, invece, per il decesso della giustizia, andata per eutanasia nel silenzio generale; muta pure la Chiesa di Roma, che in materia interviene sempre.
Lo stesso giorno, l’imprenditore Pino Masciari, che ha denunciato ’ndranghetisti e collusi, ha avuto l’udienza al Tar del Lazio circa la revoca della sua scorta; che gli torna a intermittenza, pare senza una logica.
Decine le delibere degli organismi di sicurezza che, rincorrendosi, stabiliscono condizioni e possibilità di movimento del testimone di giustizia, il cui rischio rimane molto elevato.
Come prevedibile, niente scorta per l’udienza al Tar, Masciari è stato protetto dai suoi amici: giovani venuti da Torino, Udine, Trento, Roma.
Le alte sfere della politica non possono capirlo, e forse non vogliono che vada in giro a parlare di legalità e giustizia. Masciari è più pericoloso adesso che in passato: ha séguito, credito, consenso e argomenti. Aggrega, organizza, interviene, parla, s’incazza. A noi sembra che qualcuno voglia farlo passare per matto. Lo stesso ci viene da pensare per Giuseppina Cordopatri, che è fissa in tribunale, e altri testimoni di giustizia.
Ai piani alti del «palazzo» la scorta c’è, per quanto non serva.
I santisti della ’ndrangheta, così si chiamano i capoccioni dell’organizzazione internazionale made in Calabria, non deciderebbero mai l’uccisione d’un gubernator romano o locale.
Intanto per convenienza, visto che la politica dispone per legge e ciò può tornare sempre utile all’«onorata società», perseguitata dai vari Gratteri e Bruni, giudici non ancora allontanati dalla Calabria.
In secondo luogo, c’è una ragione che si deduce da certi, pacifici rapporti fra "Cosa nuova" (la ’ndrangheta), e il potere politico.
Con l’italico garantismo, aspettiamo di vedere la pronuncia della Cassazione, prima di esprimerci in definitiva sui vari consiglieri della Calabria accusati d’aver ricevuto una mano dalla ’ndrangheta, magari in cambio d’un regalino o d’un piacere. In tempi di crisi e sofferenza, siano entrambi leciti.
Ricordiamo, quale esempio di pendenze sui rapporti fra mafie e politica, il caso del consigliere regionale calabrese Franco La Rupa, il caso del consigliere regionale calabrese Pasquale Tripodi, il caso del consigliere regionale calabrese Dioniso Gallo, già vicepresidente della commissione regionale Antimafia; difeso, nel processo "Puma", dal parlamentare Giancarlo Pittelli, già indagato da De Magistris e già amico e difensore dell’ex capo della Procura di Catanzaro, Mariano Lombardi.
In diverso modo, La Rupa, Tripodi e Gallo avrebbero incrociato personaggi non appartenenti all’oratorio, a Emergency o a Missione 2000, associazione di volontari in Africa fondata da don Battista Cimino, sacerdote diocesano scampato a diversi attentati.
Ripetiamo, a evitare equivoci e sanzioni, nell’ordinamento italiano vige la presunzione di non colpevolezza sino all’ultimo grado di giudizio. Presunzione che non può impedirci una valutazione etica su quanto sta avvenendo in Calabria, dove i fondi europei sono spariti, la disoccupazione e l’emigrazione aumentano e la rassegnazione e il familismo hanno distrutto molte possibilità di aggregazione civile, di resistenza e reazione.
Torniamo a Santoro e ad Annozero. Il buon Michele, che conosce perfettamente il mezzo televisivo e sa gestirlo con impeccabile professionalità, ha invitato Giuseppe Cascini, segretario dell’Associazione nazionale magistrati, il deputato Niccolò Ghedini (Pdl), legale di Silvio Berlusconi, Massimo Giannini, vicedirettore di La Repubblica, Tonino Di Pietro e Carlo Vulpio, cronista del Corsera sollevato dall’incarico a Catanzaro. In collegamento video Vittorio Grevi, ordinario di Procedura penale nell’Università di Pavia.
Nel giornalismo serio, si prevede che si confrontino più voci, che s’ascoltino diverse campane, che ci siano, in breve, pari opportunità. Degli squilibri sarebbero riprovevoli e inficerebbero l’imparzialità che si conviene alla stampa sana e democratica.
Parte la puntata di Annozero, e, dopo uno scontro fra Di Pietro e Ghedini sulle «guarentigie» costituzionali dei parlamentari, s’arriva al decreto di perquisizione della Procura di Salerno nei confronti della Procura di Catanzaro.
Immediatamente, si capisce, direbbe Pirandello, «il giuoco delle parti». Ghedini e Cascini rilevano a turno la mole cartacea del decreto e una mancanza di argomenti decisivi per l’individuzione di responsabilità e rapporti emersi nell’indagine di Salerno. Indagine che, come sapete, mira a stabilire, archiviata la posizione di De Magistris sul suo operato a Catanzaro, se in quel Palazzo di Giustizia ci siano state azioni di magistrati contrarie alla ricostruzione della verità.
Ghedini è l’avvocato di Berlusconi, vale ribadirlo, per dovere di cronaca.
Il discorso finisce sulla corposità del decreto di Salerno. Ghedini ce l’ha con le "troppe" pagine - 1.700, 1.500 o 1.400, a seconda che si consideri l’intero blocco o se ne levino delle parti introduttive - dell’atto salernitano.
Il roccioso Di Pietro replica al parlamentare del Pdl, che prosegue il suo ragionamento sul volume cartaceo del decreto di Salerno.
Con simpatia, Di Pietro si ferma sul contenuto dell’inchiesta salernitana, che, si sottolinea, intende stabilire se qualcuno ha inteso bloccare le inchieste Poseidone e Why not, rispettivamente sui depuratori calabresi e su un presunto comitato d’affari, attivo, nell’ipotesi dell’accusa, per rubare miliardi dell’Unione europea destinati allo sviluppo della Calabria.
Mentre Cascini - che, per non dimenticare, rappresenta tanti magistrati italiani - fa lezione ai colleghi di Salerno, precisando quali sono gli elementi essenziali da inserire in un decreto di perquisizione.
Così, prosegue la favola della battaglia tra le due procure, e scompare progressivamente l’oggetto della questione.
Per fortuna, c’è Marco Travaglio, il quale, con chiarezza e precisione, ricorda che cosa c’è di mezzo: corruzione in atti giudiziari, corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio, falsità ideologica e favoreggiamento personale.
Magistrati, imprenditori e politici sono toccati dall’inchiesta di Salerno, che ricostruisce una rete inimmaginabile di relazioni amicali o d’affari alla base di operazioni atte a impantanare Poseidone e Why not.
Leggendo le pagine di Salerno, viene voglia di rinunciare alla propria identità. Perché oggi essere italiani significa soggiacere a un potere oscuro che non si scova e che rovinerà chiunque vorrà individuarlo. Quali diritti, quale Costituzione, quale eguaglianza di fronte alla legge? E, soprattutto, chi fa e chi, in ultimo, interpreta la legge? Come? Con quale principio e fine?
Ovviamente, gli atti di Salerno non stabiliscono nulla di definitivo: la giustizia ha il suo iter, che va rispettato sino in fondo.
E se fosse vero lo scenario in quei documenti? La sola ipotesi avrebbe dovuto suggerire a Cascini un atteggiamento più prudente, a stima della gravità delle imputazioni, anche se non sono in sentenza.
Ma in Italia c’è un nuovo attacco alla magistratura, che deve necessariamente essere privata degli strumenti per assicurare i colpevoli alla giustizia. Vedremo come finirà con le intercettazioni e con l’insistenza della maggioranza su misure per i meri reati di mafia. La parola «mafia» serve a confondere l’opinione pubblica, e questo lo diciamo ormai in tutte le salse. La mafia è soltanto i Riina, i Provenzano, gli Schiavone e i Pelle, tanto per fare un esempio di misera convenzione?
L’Italia è per gli italiani un Paese di africani e romeni pericolosi, di città insicure o sozze, per cui il governo ha prontamente rimediato; televisivamente risolvendo, in realtà.
Il giudice palermitano Antonino Ingroia rammenta spesso la trattativa degli anni Novanta. Come Salvatore Borsellino, fratello di Paolo. Le stragi e i lutti di quell’epoca furono opera della mafia, punto e basta?
Leggete Colletti sporchi, di Ferruccio Pinotti e Luca Tescaroli. Ci sono, nel Belpaese, troppi capitoli aperti e casi irrisolti. Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi ebbero davvero un ruolo decisivo, in quegli anni di tritolo e morte dello Stato? Questa è solo una domanda, che speriamo sia ancora legittimo porre, in un Paese con una Costituzione.
E le indagini di De Magistris, lo chiediamo a Santoro, non hanno nell’inchiesta di Agostino Cordova a Palmi il precedente storico che illumina su probabili collegamenti tra poteri occulti e tipicità calabresi?
Che cosa è la Calabria? E’ solo il sangue sparso a Locri, a San Luca (Reggio Calabria), a Crotone, a Duisburg, o è terra di conquista e affari in cui l’assistenzialismo e le amicizie dei signori (massoni?) hanno ucciso lo sviluppo culturale ed economico, causando la nuova emigrazione dei giovani?
Roberto Saviano, vieni in soccorso di chi, come noi di "la Voce di Fiore", non dorme più la notte e ha perduto perfino la capacità di sognare. Dici, scrivi, te lo stiamo chiedendo da tempo.
Quale orizzonte, quale futuro per i ragazzi della Calabria, se i soldi pubblici mancano, la società sparisce, la denuncia è vinta e la voce è spezzata, forse più di quella del "rimosso" Vulpio?
Noi, piccoli e inascoltati, nel libro "La società sparente" (Neftasia, Pesaro, 2007), che non deve esistere, abbiamo scritto che il tragico - per gli effetti - abbandono della Calabria è l’unica possibilità per chi non vuole sottomettersi alla Ndrangheta, che sarebbe la consorteria di politica, occulto e ’ndrangheta.
Quanti collegati ci sono in Calabria, in grado di tramare e gestire politicamente masse supine?
Che cosa ci ha insegnato Why not, se non che il sistema è marcio, incancrenito, la collusione è capillare e la corruzione legittimata?
L’inchiesta di De Magistris è solo un teorema? Esiste sul serio la guerra fra procure o l’inchiesta di Catanzaro su Salerno è una forzatura supportata dalla stampa, che ha concorso a costruire l’immagine d’una magistratura prepotente e inaffidabile?
Non era forse competente Salerno su Catanzaro, e non viceversa?
Il trasferimento di De Magistris non si può considerare l’ennesimo abbandono della Calabria, sia pure imposto, da parte di una coscienza che ha provato a cambiare le cose secondo la legge?
Noi calabresi dovremmo restare indifferenti, dovremmo vivere la nostra quotidianità nella consapevolezza dell’impotenza?
Quanto è diversa la vicenda di Why not da quella di Mani pulite?
Possiamo pensare che, per comodità politica, è proibita una lettura oggettiva del caso calabrese, che non riguarda semplicemente le «armate» del crotonese, della locride, del reggino e i traffici miliardari fra ’ndrangheta e cartelli colombiani?
Che cosa è questa Calabria, in cui tutto avviene al di fuori di ogni legge e giustizia umana?
Quale uomo onesto vorrà collaborare, osservando ciò che sta avvenendo a Pino Masciari, al quale denunciare la Ndrangheta è costato l’allontanamento e l’insicurezza perpetui?
Ripetiamo per l’ennesima volta, la Ndrangheta è altro dalla ’ndrangheta. Nessun professor Masciandaro, stimato economista, potrà valutare il fatturato della Ndrangheta.
Conta qualcosa questo nostro grido di rabbia e dolore?
Giuseppe Chiaravalloti, ex presidente della Regione Calabria, può essere responsabile della nostra privacy, in quanto vicepresidente dell’autorità di garanzia, dopo le cose ipotizzate in ordine alle inchieste, perdute, di De Magistris?
Circa Why not, tra i destinatari della recente conclusione indagini figurano diversi politici "eccellenti": dal deputato Giovanni Dima, del Pdl, ex consigliere regionale calabrese di An, al presidente della Regione Calabria, Agazio Loiero. Quindi, l’ex presidente, Giuseppe Chiaravalloti; il capogruppo del Pd alla Regione ed ex vicepresidente della Giunta, Nicola Adamo; l’ex consigliere regionale dell’Udc Dioniso Gallo; il consigliere regionale di Forza Italia Giuseppe Gentile; gli assessori regionali Luigi Incarnato dello Sdi e Mario Pirillo del Pd. Le persone indagate a vario titolo dalla Procura generale di Catanzaro costituivano - secondo l’accusa - «uno stabile sistema clientelare»
Nessuno è colpevole finché non lo stabilisce la Cassazione. Per certo, corre una bella differenza fra la nostra nazione e altre, del nord europeo. Lì basta nulla, per un discorso etico, a spingere un uomo delle istituzioni a dimettersi. Ma questi signori coinvolti in Why not si ripresenteranno agli elettori, magari, come accade spesso, con un nuovo abito ed un altro linguaggio.
Noi di "la Voce di Fiore" stiamo morendo, ma ce ne andiamo con dignità. Probabilmente perché sono anzitutto i nostri concittadini calabresi a non volerci. Chiuderemo a fine mese, come annunciato.
Siamo vinti, e lo scandiamo con dignità. Abbiamo perso. Ma abbiamo ancora una piccola speranza. Finché c’è parola, c’è vita. Anche se la parola non deve mai essere isolata. Altrimenti diventa follia.
22 dicembre 2008
I ragazzi della rete di "la Voce di Fiore"
Pubblicato da Profilo alle 14:56:00 4 commenti
martedì 9 dicembre 2008
La Voce di Fiore e la sua rete rischiano di chiudere entro fine anno
Né a destra né a sinistra. E nemmeno a centro. Privi di tessere, protettori, sponsor, padroni. Squattrinati e liberi, come tanti ragazzi in Italia e nel mondo. Bamboccioni, precari, utopisti a piede libero. Seguaci, recidivi, d’un umanesimo fuori tempo: fuori schema, fuori bilancio. Coerentemente rumorosi.
Non abbiamo preso ordini, non ci siamo venduti, non siamo saltati sul carro dei vincitori, non ci siamo piegati, non abbiamo taciuto. Mai. Duri, testardi, leali nel confronto.
Dal 2004, da quando esiste “la Voce di Fiore”, abbiamo vigilato su fatti, anomalie, operazioni e vergogne del potere, senza risparmiarci, senza sconti a nessuno.
Dall’assessore comunale all’avvocato massone a palazzo, dal bando truccato al colossale scandalo sulla giustizia. Dal disabile scaricato, al cancro per merenda a innocenti, piccoli e indifesi. Dagli appalti pilotati alle consulenze inutili, dai diritti negati alla libertà di informazione. Dalla scuola all’università, alla ricerca scientifica. Dalla dignità dei gay alla condizione dello straniero. Dalle scalate alle speculazioni finanziarie. Dalle lobby farmaceutiche alla libertà di cura. Dagli emarginati ai deboli, ai poveri, agli ultimi. Dagli abusi alle violazioni. Dai santisti agli eroi dell’antimafia, martiri del silenzio. Dall’ambiente all’oro sporco dei rifiuti. Dalla periferia ai nodi dell’Impero. Dalla Calabria dei legislatori inquisiti, arrestati o sospetti, all’Italia della corruzione; galoppante, vincente, esemplare. «Dalla decrescita serena» al gioachimismo convinto, all’idea d’un pianeta diverso, equo, solidale, pacifico; fatto di tolleranza, carità, rispetto delle culture, delle religioni. Della vita. Dalla memoria alla storia; dalla coesistenza delle identità al dialogo politico, capace di fermare crociate e terrorismo, recuperando sul mercato selvaggio e spietato. Ci siamo occupati di questo e altro, sulle nostre pagine e sui siti della nostra rete, creata con sacrificio quotidiano: ndrangheta.it, lasocietasparente.blogspot.com, emigrati.it, emigrati.org. Nemici del lucro e dei riflettori, dell’idiozia e del qualunquismo.
Lo abbiamo fatto per passione civile, consapevoli dei nostri limiti, delle nostre forze e del nostro progetto di emancipazione culturale e politica costruito dal basso, aperto, sincero, onesto. Un laboratorio senza scadenze, mandati e finanziatori. Un laboratorio che ci ha portato a formare un gruppo coeso. Un gruppo che ha organizzato tante iniziative culturali (i "Quaderni" del prof. Federico La Sala", festival filosofici, spettacoli teatrali, concerti musicali); che, per la dedizione di Francesco Saverio Alessio, ha tenuto contatti e scambi con gli emigrati; che, per la rabbia di Alessio, Emiliano Morrone e Biagio Simonetta innanzi all’espansione della ’ndrangheta, ha seguito inchieste sugli intrecci fra criminalità classica e nascosta - con viaggi perfino all’estero, in zone di frontiera.
Oggi, dopo “La società sparente”, libro su ‘ndrangheta e politica che ci è costato tribunali, intimidazioni, pressioni, minacce e isolamento, ci ritroviamo con un grave passivo, che, a conti fatti, è di diecimila euro. Da soli, abbiamo organizzato iniziative a sostegno di testimoni di giustizia, abbiamo percorso lo Stivale parlando di legalità a giovani come noi; nelle piazze, nelle scuole, nelle università. Abbiamo ascoltato la loro preoccupazione, comprendendo il loro senso e il loro bisogno di giustizia e verità. Questo senso e questo bisogno lo abbiamo rappresentato, esposto, interiorizzato, riverberato. Abbiamo raccontato vicende e protagonisti d’un malaffare diventato progressivamente normale, impunito e inarrestabile. D’un sistema, calabrese e nazionale, che sembra avere la meglio, purtroppo, sul popolo dei comuni mortali; quelli che si sbattono, dato che i fondi per la cosa pubblica spariscono a vantaggio di «colletti sporchi», allenati a fingere e tornare a galla. Abbiamo proposto soluzioni e cercato di coinvolgere istituzioni laiche e religiose, mai chiedendo denaro. Abbiamo lavorato, faticato, ricevuto batoste e colpi bassi. Al nostro fianco, abbiamo sempre avuto chi ha sperato e non si è lasciato abbattere da certa strategia della paura. Abbiamo avuto uomini liberi e generosi come Gianni Vattimo, docenti illuminati, figure di un’antimafia combattiva e legata ai princìpi costituzionali. Non ci siamo arresi, persuasi che l’informazione corretta e il senso critico costituiscono la base d’una sana e civile democrazia.
Siamo partiti da una piccola comunità, quella di San Giovanni in Fiore (in provincia di Cosenza), forse il comune più assistito d’Italia, dove la formazione del consenso e delle rappresentanze si basa, come nel resto del Mezzogiorno, sul bisogno e la disperazione delle masse. Da lì - nella vicinissima area crotonese, nel 2007 sono state uccise 2,2 persone ogni 10.000 abitanti - c’è toccato andar via. Per la nostra tranquillità e il nostro futuro. Ciononostante, abbiamo continuato a seguirne le sorti. Abbiamo raccolto e accolto segnalazioni e denunce da ogni angolo d’Italia, intervenendo all’occorrenza. Questo giornale on -line, che non ha mai voluto pubblicità, ha superato i tre milioni di visitatori effettivi (4 milioni e mezzo con i siti della sua rete). Ha offerto dibattiti e spazi a chiunque, parteggiando per l’intelligenza, la libertà e i più umili.
Non avremmo mai voluto scrivere questa lettera pubblica, che in qualche modo sa di sconfitta. Oggi, se vogliamo proseguire come sempre, siamo obbligati a chiedere un aiuto materiale a quanti condividono le nostre idee e confidano nel nostro impegno. Chiediamo, pertanto, una donazione spontanea, incondizionata, libera.
È anche vero che le battaglie si conducono con le risorse, mancando le quali si è ancora più a rischio, in balia di soggetti che aspettano, trepidanti, che si spenga la nostra voce, la voce di chi ci esorta, di chi crede nelle nostre azioni e nei nostri propositi.
Speriamo, con la sensibilità e l’attenzione di chi vorrà sostenerci, di riuscire a continuare come sempre. Ci auguriamo di recuperare al più presto almeno il debito accumulato nel tempo. Pertanto, ci poniamo una scadenza simbolica, per il raggiungimento dell’obiettivo che è, come già detto, di soli diecimila euro. La scadenza è al 31 dicembre 2008.
Vorremmo subito costituire una rete di protezione per gli scrittori antimafia, e sappiamo che possiamo farla, con la generosità di chi ne comprende l’importanza.
Ci affidiamo, sereni, ai nostri lettori e a chi vuole, per sua scelta, contribuire alla nostra sopravvivenza. Senza possibilità di respirare, dovremo dire addio alla nostra lotta civile, chiudendo bottega a fine anno e incominciando il 2009 con tanti cocci da raccogliere. Grazie di cuore a tutti.
9/12/2008
I giovani della rete di "La Voce di Fiore"
"la Voce di Fiore" renderà pubblicamente conto del sostegno ricevuto e di come sarà utilizzato
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intestata a Biagio Simonetta
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